Oreste Bovio
Diaz
vide allora la possibilità di rompere il fronte avversario in corrispondenza della
zona di sutura delle due armate austriache (5a e 6a) del Piave, agendo a
cavaliere della direttrice di Vittorio Veneto, centro logistico di grande
importanza sulla linea di operazioni della 6a armata austriaca. Effettuata la
rottura e separate le due armate avversarie, puntando su Feltre, gli italiani
avrebbero aggirato le truppe austriache attestate al Grappa e dato sviluppo
alla manovra dirigendosi sia per la Valsugana su Trento, sia verso il Cadore.
La manovra avrebbe dovuto avere inizio il giorno 16 ottobre, ma la piena del
Piave ne fece spostare la data al 24. Questo lieve ritardo permise di
perfezionare il piano d'operazione: anche la 4a armata del Grappa ebbe ordine
di agire offensivamente, concorrendo all'azione principale affidata all'8a,
impegnando le riserve nemiche che avrebbero potuto ostacolare l'avanzata su
Vittorio Veneto.
La
battaglia fu iniziata pertanto proprio dalla 4a armata, che protrasse i suoi
attacchi sino al giorno 27, riuscendo nell’intento di richiamare ed assorbire
le riserve austro-ungariche.
Nella
notte tra il 26 ed il 27, l'8a armata, la 12a armata - comandata dal generale
francese Graziani, e costituita da 1 divisione francese e 3 italiane - e la 10a
- comandata dal generale inglese Cavan, e costituita da 2 divisioni inglesi e
da 2 italiane - gettarono i ponti sul Piave e passarono il fiume.
L'irruenza
dell’attacco costrinse il comando della 6a armata austriaca ad ordinare, il
giorno 28, la ritirata sul Monticano.
Il
giorno 30, l’8a armata occupò, con le proprie avanguardie, Vittorio Veneto; la
12a armata superò la stretta di Quero verso Feltre; la 10a varcò il Monticano
in direzione di Sacile.
Nella
serata dello stesso giorno si presentava al Comando Supremo il generale austriaco
Weber per trattare la resa. Le trattative però non furono molto spedite perché
il governo austriaco non voleva filmare una capitolazione completa, ma solo una
tregua d'armi. Durante la discussione le operazioni continuarono ed il 31 le truppe
austriache del Grappa cedettero, infine, all'irruenza dell'azione della 4a
armata che mosse allora su Arsié; la 12a armata si diresse su Feltre; l’8a
sboccò nella valle del Piave a Ponte delle Alpi; la 10a, affiancata dalla 3a,
raggiunse la Livenza e la cavalleria il Tagliamento; si mise in moto anche la
6a armata lungo la Valsugana, per intercettarvi la rotabile e dirigersi verso
Trento-Egna.
Il
3 novembre la 1a armata entrò a Trento, tutte le altre armate raggiunsero i
rispettivi obiettivi e, mentre la cavalleria si spingeva fino a Palmanova, Udine,
Stazione per la Carnia e Gradisca, un apposito distaccamento sbarcò a Trieste.
La
sera del 3 novembre fu finalmente concluso l 'armistizio: alle ore 15 del 4 novembre
1918 vennero sospese le ostilità su tutto il fronte italiano.
Nell'intento
di limitare il valore determinante della battaglia di Vittorio Veneto, alcuni
critici hanno tentato di ridurne l'importanza, attribuendo un peso eccessivo
alla crisi morale e materiale che indubbiamente scuoteva l'esercito austriaco
alla fine del 1918.
Questa
affermazione, persino offensiva per l 'esercito austriaco, ostinato e valoroso,
è decisamente smentita dai fatti. Spinto dall'odio secolare, dalla salda
disciplina, dal sentimento dell'onor militare, l 'esercito imperiale si batté
assai coraggiosamente anche nell'ultima battaglia, tanto che le perdite degli
attaccanti furono sensibili: 36.498 Italiani e 2.498 Alleati.
Con
la battaglia di Vittorio Veneto l'Italia non sconfisse soltanto "uno dei
più potenti eserciti del mondo”, provocò il crollo totale dell'Impero degli
Asburgo.
Lo
sforzo italiano fu immenso - 5 milioni di uomini mobilitati, 900.000 militarizzati
nelle industrie di guerra, 680.000 caduti, oltre 1.000.000 feriti e mutilati - ma
il ciclo storico del Risorgimento italico si concludeva finalmente con la scomparsa
del secolare nemico e con il raggiungimento dei confini naturali.
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