Si riporta la nota del Dott Sergio Sabetta come traccia per eventuale tesi per il Master di 1° Livello in Storia Militare Contenporanea
La
concezione napoleonica della gestione strategica
I
principi dell’equilibrio nella flessibilità e variabilità
Introduzione
Non vi è in realtà una
formulazione originale dei principi strategici napoleonici, né un corpus
dottrinale da lui elaborato, egli piuttosto perfezionò e applicò principi da
altri creati si che la sua genialità si esplicò nelle modalità di attuazione e
nella capacità di sviluppare e usare elementi altrui, la mancanza di una dottrina
fu in parte dovuta dalla necessità di non svelare ad altri i principi della sua
azione.
Maestri ispiratori furono
senz’altro in primis Federico II di Prussia con le sue campagne contro Francesi,
Austriaci e Russi codificate nelle famose “Istruzioni segrete” del 1748, ma
anche Eugenio di Savoia, Turenne, Luxemburg, Maurizio
di Sassonia oltre ai classici dell’antichità.
Dal
punto di vista teorico lesse e rilesse tra gli altri l’ “Essai General de taticque”
e il “Defense du systéme de guerre moderne” entrambi di Jacques Antoine Hyppolite, conte di Guibert, oltre ai “Principes de la
guerre des montagnes” di Pierre
de Bourcet, mentre per gli aspetti
più tecnici della propria arma ebbe, in particolare ad Auxonne, la guida del
barone Du Teil fratello del celebre cavaliere Jean du Teil, teorico dell’uso dell’artiglieria e discepolo di De Gribeauvael.
Vi è in lui una notevole capacità
organizzativa che si esplica sia in termini macro, con la completa visione
d’insieme, che in termini micro, curando i vari particolari del quadro, in un
continuo rimando coordinativo fra i vari piani.
La caratteristica principale
risulta pertanto l’illimitata flessibilità e variabilità sia
dell’organizzazione che della concezione operativa.
Caratteristiche
Se la
caratteristica principale risulta essere la flessibilità e la variabilità unite
ad una concezione dinamica ed audace dell’azione ma non temeraria, secondo un
freddo realismo delle forze in campo, punto centrale è la ricerca di un attento
equilibrio di mezzi e risultati, di sforzi ed ostacoli nel tentativo di
mantenere il proprio equilibrio spezzando l’equilibrio altrui, come giustamente
osserva Lidell Hart.
Nella
programmazione vi è una attenta informazione e valutazione sulle forze
contrapposte, ma il piano o meglio i vari piani così accuratamente preparati
non costituiscono vincolo all’azione ma piuttosto mezzo o pietra di paragone
per misurare tutti i successivi avvenimenti e possibilmente anticiparne le
conseguenze.
Vi
è sempre un piano alternativo quale conseguenza della necessità di un piano
poliedrico impostato secondo molteplici probabili sviluppi. Il caso per quanto
previsto e limitato non può essere sottovalutato, circostanza che impone un
continuo ripensamento dei vantaggi e svantaggi durante lo svolgersi dell’azione
man mano che si presentano gli imprevisti, senza per questo deviare dall’obiettivo finale.
Il
variare in corso d’azione dell’organizzazione della macchina bellica in
un’apparente caos in realtà viene a confondere le osservazioni avversarie, in
quanto l’unità di comando è sempre mantenuta e le varie unità rimangono
comunque tra loro a distanza utile, pronte al concentramento nonostante
un’apparente dispersione. Elemento essenziale di tale tecnica operativa è la
rapidità di esecuzione quale complemento alla velocità e mobilità imposte
dall’inizio alla fine alle operazioni, velocità che può trasformare un
imminente pericolo in un successo.
Tre
i fattori che permettono una tale stupenda dimostrazione di efficienza:
- L’autodisciplina
e la relativa indipendenza operativa del sistema francese;
- La
leggerezza delle singole unità, fornite della caratteristica divisionale
di un forte autosostentamento;
- Il
ferreo controllo dell’insieme.
Vitale
risulta l’accurato rapporto fra tempo e distanza, scegliendo i percorsi più
facilmente praticabili in una autentica “economia
dello sforzo” al fine di ridurre il logorio delle unità.
Questa
adattabilità e mobilità strategica confluiscono, verso un graduale
concentramento, si che il decentramento o dispersione apparente favorisce in
realtà la manovra e il combattimento secondo precisi ordini con la conseguente
sorpresa e demoralizzazione avversaria.
Viene
riconosciuta l’importanza sia del morale che dell’unità di comando in una
influenza reciproca, deve tuttavia ammettersi che la crescita organizzativa
mediante incorporazione, come avvenne nella “Grande Armée”, può condurre all’indebolimento dell’unità morale e
di manovra.
Fondamentale
per ottenere una obbedienza economica
sono l’attaccamento ed il rispetto dei subordinati verso la dirigenza, la quale
d’altra parte deve essere fondata sulla perseveranza e il coraggio dell’azione
dei superiori, costante la prima nel tempo circostanziata in precisi momenti la
seconda.
Il
sistema premiante deve essere accuratamente ordinato per gradi e favorire
l’atmosfera collaborativa fra i vari livelli secondo una precisa e controllata
trasparente lealtà riconosciuta in tutta l’organizzazione, inoltre deve essere
favorito il feedback tra la base e il vertice con precise testimonianze sui risultati
delle richieste avanzate e degli interventi effettuati.
E’stata
più volte sottolineata l’apparente ambiguità dell’unità di comando in presenza
di un forte decentramento operativo, ma il contrasto è più apparente che reale,
come già sopra chiarito, se solo si consideri la necessità della dispersione in
presenza di repentini aggiustamenti prima dello scontro.
Infine
deve richiamarsi l’attenzione sull’individuazione dell’esatto obiettivo comune
da perseguire e quindi della parallela necessità di una unica linea di azione
evitando, per quanto possibile, un inutile dispersione di uomini e risorse.
Riflessi attuali
Luttwak parla di rischio
organizzativo proprio nel momento in cui aumentano la segretezza, le unità in gioco e la complessità
delle manovre poste in atto, tale rischio deriva dall’attrito che ostacola il funzionamento di qualsiasi
organizzazione, tanto più se complessa. Il concetto di attrito era stato già
rilevato dal Clausewitz quando, nel raccomandare di non semplificare
eccessivamente, osservava le difficoltà che si accumulano e si producono nel
loro complesso durante l’azione.
La ricerca della
sorpresa derivante dalla scelta paradossale, al fine di ottenere un vantaggio
competitivo, ha comunque un proprio costo che si manifesta nella perdita di
forze e nel possibile aumento del rischio di confusione nell’organizzazione, a
cui solo una maggiore preparazione ed una più efficiente comunicazione, quale
impalcatura di un saldo controllo direzionale, può mettere rimedio. Dobbiamo
tenere presente che ciò che è paradossale
col tempo diventa prevedibile, mentre il prevedibile può essere al contrario
imprevedibile se a lungo non applicato.
Ciò che è logico
con il tempo diventa illogico, evolvendo nel suo opposto, tranne che non
intervengano mutamenti esogeni nelle condizioni dei partecipanti, si che non vi
è di peggio della baldanza derivante dal successo che può trasformare questi
nelle premesse di un disastro.
Si
recupera un concetto di flessibilità e manovrabilità non rigido, quale fosse un
canone, ma adattabile sia nell’imprevisto quanto in termini programmatori del
passaggio da logica a illogica, interviene in questo l’importanza mai
sufficientemente ricordata della gestione dei canali di comunicazione in
rapporto ad un saldo controllo dell’insieme, in cui il decentramento non è
premessa di disarticolazione ma adattabilità e velocità di manovra.
Dobbiamo
considerare che ciò che in apparenza può sembrare un’azione definitiva e
sistematicamente cumulativa a cascata di successi, può produrre in realtà reazioni
che non solo la disattivino ma addirittura siano strategicamente
controproducenti.
Peraltro
anche le innovazioni tecniche non sono di per sé sinonimo di successo se non
adeguatamente supportate e metabolizzate dall’organizzazione che dovrà utilizzarle,
magari superando vecchi schemi che tenderanno a ridurne l’impatto sia per
mancanza di fantasia che per difesa dei ruoli acquisiti.
Von
Clausewitz
richiama nella sua opera l’importanza della forza d’animo e dell’orgoglio quali
elementi che forgiando il carattere del singolo e dell’organizzazione
nell’insieme possano creare una cultura che conduca alla fermezza e costanza,
senza peraltro precipitare verso la testardaggine.
Si
parla oggi giorno di vantaggi chiave e della creazione di informazioni organizzative
adattabili alla strategia, superando
eventuali blocchi di sistema. Si pone inoltre attenzione alla dispersione
dell’attenzione dirigenziale nella gestione della quotidianità che, facendo
perdere il contatto con la cultura dell’organizzazione, impedisca il
concentrarsi sulla formazione di una salda cultura organizzativa diffusa,
diretta verso i fini strategici.
Altro
elemento è la riconosciuta difficoltà di una equilibrata e complementare crescita
organica, che permetta di allineare in modo efficiente su un unico obiettivo
organizzativo risorse e uomini.
Comunque
concludendo quello che emerge è la necessità che una adattabilità e
flessibilità organizzativa non si trasformi in disarticolazione e sfiducia nel
sistema, per mancata chiarezza di mezzi ed obiettivi, a seguito della perdita
della capacità comunicativa e di coordinamento.
Bibliografia
·
D.
G. Chandler, Le campagne di Napoleone, Milano 1972 ;
·
B. H. Liddell
Hart, The Strategy of the Indirect Approach, Londra 1954;
·
E. N. Luttwark,
Strategia. Le
logiche della guerra e della pace nel confronta tra le grandi potenze, Milano
1989;
·
K.
Von Clausewitz,Pensieri sulla guerra, Milano 1970;