Traduzione

Il presente blog è scritto in Italiano, lingua base. Chi desiderasse tradurre in un altra lingua, può avvalersi della opportunità della funzione di "Traduzione", che è riporta nella pagina in fondo al presente blog.

This blog is written in Italian, a language base. Those who wish to translate into another language, may use the opportunity of the function of "Translation", which is reported in the pages.

giovedì 29 luglio 2021

Tesi di Laurea. Traccia Grande Guerra

 

Maria Luisa Suprani Querzoli

Quesiti sulla morte del Maggiore Francesco Baracca.

 

 

Il mistero continua tuttora ad avvolgere le dinamiche che determinarono la scomparsa del Maggiore il 19 giugno 1918 durante l’infuriare della battaglia sul Montello. Sarà interessante soffermarsi ed analizzare alcuni punti per diradare, nella misura in cui ciò è possibile, le incertezze alla base dei quesiti rimasti irrisolti.

 

a.      Il presupposto. «[T]utti gli autori danno per scontato che il corpo di Baracca sia stato sbalzato fuori dalla carcassa dello SPAD a causa della violenza dell’urto. Questo però potrebbe non essere affatto vero. Nel caso del sergente Nava infatti, è noto che le cose non sono andate in quel modo. Il suo cadavere si presentava discosto dai resti del proprio aereo perché gli Arditi del XXVII Reparto d’Assalto lo avevano spostato»[1]. Si può ipotizzare, non in assenza di argomentazioni, che siano stati gli Austroungarici a liberare il corpo del Maggiore Baracca dalle cinture: ciò potrebbe trovare conferma nella dichiarazione dell’identità del nemico abbattuto sul Bollettino di Guerra austroungarico del 20 giugno 1918, diffuso immediatamente dalla stampa locale[2].

b.      La versione italiana (morte per fuoco nemico da terra), giustificatissima sul piano bellico e politico data la criticità del momento, dal punto di vista storico mostra fragilità evidenti: le testimonianze dell’Osservatore austroungarico a cui è stata attribuito l’abbattimento del velivolo del Maggiore (integrate con le testimonianze raccolte da Olindo Bitetti e non più riprese dagli anni Venti) presentano infatti elementi degni di interesse.

c.       L’ipotesi del suicidio. Ferruccio Ranza fu il primo che, comprensibilmente vinto dall’emozione di fronte al ritrovamento del corpo del Comandante, palesò le intenzioni manifestate a suo tempo da quest’ultimo in caso di abbattimento. Ne diede notizia Garinei sul «Secolo» del 26 – 27 giugno 1918 riportando le parole dello stesso Ranza. Dal  «Secolo», l’ipotesi rimbalzò su un importante giornale straniero[3] e anche su alcuni quotidiani italiani di provincia prima ancora che i funerali avessero avuto luogo, tanto da suscitare il dolore e lo sdegno di un lontano parente del Maggiore che si attivò per confutare l’ipotesi ingloriosa[4].

Molto probabilmente, le parole a caldo pronunciate dal componente della Squadriglia e le dimensioni della ferita permisero il delinearsi dell’ipotesi del suicidio. In occasione del Cinquantesimo, il Generale Ranza rilasciò un’intervista – che è stata rimossa recentemente dalla rete – in cui indica il punto esatto della ferita presente sul capo del Maggiore[5].

d.      La ferita. È opportuno soffermarsi sulle dimensioni della ferita più che sull’ipotesi del suicidio. Può essere effettivamente stato l’Osservatore austroungarico a sparare.

Il 25 giugno 1918 il «Corriere Mercantile» scrive: «Gli aviatori Osnaghi [sic] e Ranza della sua squadriglia, con il quale si trovava il collega Raffaele Garinei, hanno trovato i resti di un apparecchio italiano bruciacchiato tra la terza e la seconda strada del Montello. Fra i rottami era il corpo del glorioso cacciatore del cielo, che aveva abbattuto 34 aeroplani nemici. Dall’esame medico è risultato che ha alla tempia una piccola ferita di pistola, che si giudica la prima causa della morte. Così Baracca avrebbe tenuto fede alla sua parola tante volte espressa, di uccidersi cioè piuttosto che cadere nelle mani del nemico».

e.      L’arma. Chi propende verso la tesi del suicidio sostiene che la pistola sia un calibro 6.35[6]. Rimane il dubbio sulla compatibilità dell’arma ipotizzata con quella trovata accanto al corpo del Maggiore. Su questa pistola estranea è possibile formulare un’ipotesi circa una non improbabile sottrazione (seguita da sostituzione) della pistola piccola (Mauser 6.35) che era appannaggio degli Ufficiali (e che quindi poteva essere in possesso di Baracca) da parte di uno dei soldati austroungarici che liberò il corpo dalle cinture[7]. Risulta chiaro che dalla pistola trovata accanto al corpo il colpo non partì. Agli inizi, comunque, si insistette su ferita procurata da proiettile di piccolo calibro.

f.        La relazione medica. È opportuno soffermarsi sulla relazione ufficiale del Medico, contestualizzandola. È importante premettere che il dottor La Corte, medico che compì una semplice ricognizione del corpo e non l’esame autoptico di prassi, intratteneva rapporti cordiali con il Maggiore Baracca[8]. Non è improbabile che, per indicazioni ricevute e per solidarietà personale, il dottor La Corte abbia optato per una rapida ricognizione, senza soffermarsi specificatamente sugli elementi capaci di avvalorare, seppur indirettamente, l’ipotesi del suicidio. Risulta a tal proposito del massimo interesse l’esame ufficioso di un altro medico, precedente la ricognizione ufficiale, che forse ha contribuito alla ricognizione non così esaustiva:  «Il dottor Malaspina [medico legale, avvertito dal fratello, Ufficiale degli Arditi] raggiunse allora quello che definisce l’obitorio di Fossalunga, dove la macchina di Garinei, Osnago e Ranza avrebbe effettuato una sosta prima di arrivare a Quinto. Qui i presenti, esaminando il corpo dell’eroe caduto, si rendono conto che Baracca si è effettivamente suicidato [il colpo è partito sì da vicino ma non dalla pistola del Maggiore]. Nel caricatore della sua pistola [potrebbe non essere la sua] mancherebbe un colpo e sul caschetto di cuoio sarebbe visibile il segno di uno sparo esploso a bruciapelo all’altezza della tempia destra [il caschetto, invece, sembra essere proprio il suo. Solo il caschetto, di cui sono andate disperse le tracce, costituisce l’elemento probante]. È interessante notare però che, qualche ora più tardi, a Quinto viene insediata una commissione che provvede ufficialmente a riconoscere i resti di Baracca. I suoi membri certificano che egli è morto a causa delle ustioni e di un colpo di arma da fuoco di piccolo calibro [del calibro non si fa cenno nel verbale ma la natura della ferita è tale da escludere l’impiego di calibri di entità maggiore] subito nell’orbita dell’occhio destro. Una palla in fronte, sparata da un anonimo fantaccino, scriveranno poi i suoi biografi …»[9].

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] S. Gambarotto, R. Callegari, G. Piccolo, Francesco Baracca. Indagine sulla morte di un eroe italiano, Treviso: Editrice Storica (pubblicazione a cura dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano – Comitato di Trevi­so), 2012.

[2] Il quotidiano è stato donato alla Famiglia Baracca da Maria Battistella. La risposta di Paolina Baracca, madre dell’Eroe, a Battistella, in fotocopia, datata 15 giugno 1923 è conservata in Archivio Ufficio Storico Aeronautica Militare, fondo MOVM, busta 4, fascicolo Baracca.

[3] Prove Baracca was slain – Italians Dispose of Theory of Suicide of Famous Aviators, «New York Times», 2 luglio 1918.

[4] «Gazzetta del Popolo» - cfr. E. Iezzi, Francesco Baracca. Luci e ombre di un grande Italiano, Lugo: Walberti, 2008, p. 190 - «Il Resto del Carlino», 28 giugno 1918 – cfr. ivi, nota 8, p. 192; «Corriere Mercantile», 25 giugno 1918 in S.Gambarotto, R. Callegari, G. Piccolo, Francesco Baracca. Indagine sulla morte di un eroe italiano, cit., p. 201.

[5] Nell’impossibilità di rivedere la preziosa testimonianza, scomparsa di recente dalla rete, se ne riporta una sintesi: «In quel punto [indicato da Ranza] era presente un “foro” che poteva essere quello d’entrata di un proiettile di piccolo calibro rimasto poi all’interno del cranio» (ivi, p. 76).

[6] Cfr. ivi, p. 199.

[7] Cfr. M.L. Suprani Querzoli, La Grande Guerra di Francesco Baracca, Forlì: CartaCanta, 2020, pp. 258 – 260.

[8] Cfr. biglietto augurale del dott. La Corte a Francesco Baracca in Biblioteca ‘Trisi’ Lugo, fondo Baracca, Corrispondenza: faldone I, fascicolo I, documento 18.

[9] S.Gambarotto, R. Callegari, G. Piccolo, Francesco Baracca. Indagine sulla morte di un eroe italiano, cit., p. 199.

lunedì 19 luglio 2021

Tesi di Laurea. Traccia. MOnte Mrzli 2 giugno 1915

 

Maria Luisa Suprani Querzoli

Il Generale De Rossi e la Battaglia del Monte Mrzli (2 giugno 1915)

 

Al Generale Eugenio De Rossi si deve la conoscenza dell’ambiente militare durante l’Età Umbertina: la sua autobiografia, infatti, accanto ai profili di figure divenute poi celebri, si sofferma ampiamente su fragilità e virtù che connotarono il mondo militare (italiano e straniero) a cavallo fra Ottocento e Novecento. Il suo si rivela quindi un contributo indispensabile per comprendere l’assetto mentale, morale e professionale, dell’Italia prossima ad entrare in guerra.

De Rossi, ad un certo punto della carriera, approdò felicemente fra i Bersaglieri: il suo dinamismo (provetto ciclista) e la capacità di coinvolgere con l’esempio i propri sottoposti denotavano in lui una rara sinergia fra equilibrio ed entusiasmo. Anche alla sua opera di intelligence l’Esercito dovette molto[1].

La grave ferita riportata durante le primissime azioni di guerra lo rese invalido, determinando così per lui la fine della partecipazione attiva al conflitto.

Varrà la pena riportare per esteso la descrizione del momento drammatico in cui De Rossi rimase colpito per poi concludere con alcune brevi riflessioni:

 

Tornai tra i miei bersaglieri, dissi brevemente essere venuta l’ora della prova, quella che il destino ha fissato per ognuno. Mi volsi poi a don Gilardi e lo invitai a far atto del suo ministero per i credenti e i miscredenti. […] I volti gravi ma fermi, la fierezza con la quale si drizzarono dopo l’assoluzione in articulo mortis mi dette la sicurezza della loro intrepida risoluzione. Avviai la pattuglia ufficiali, la compagnia di avanguardia e con essa mi incamminai.

Posi sul cappello l’aigrette bianca da colonnello: aveva brillato alla parete, si mostrasse ora al combattimento. […] Superammo altri 300 metri di dislivello. Tutto il mio essere era teso vero l’imminente scoppiar della fucilata, poiché il nemico non poteva tardare  farsi vivo. […] Feci dare il segnale di allungare il tiro, ma non fu compreso, o compreso alla rovescia, perché invece cessò improvvisamente […]. [I]l silenzio dei nostri pezzi fu immediatamente seguito dal crepitare della fucileria nemica e dall’abbaiare delle mitragliatrici, entrate in azione furiosamente. Ma la truppa stette salda attorno agli ufficiali e continuò poi l’ascesa sotto la raffica mortale, accorrendo alla mia voce che incitava e chiamava superando, stentorea come poi mi dissero, il fragore degli spari.[2]

 

Una constatazione prima di proseguire nel racconto: l’impiego delle artiglierie in affiatamento con il procedere delle truppe si dimostra fin da subito un punto di grave fragilità. L’esempio di compensazione morale alle manchevolezze di ordine tecnico è encomiabile. La narrazione di quel momento terribile gravido di molte perdite è particolarmente efficace: la si riprenderà dal momento in cui le cose, per De Rossi, precipiteranno.

 

Conclusione: un attacco frontale oltre che sanguinosissimo non condurrebbe ad alcun risultato, perché sarebbe impossibile rimanere sulla posizione conquistata, dominata completamente dallo Sleme; conviene perciò attendere che cominci l’azione che, per l’alto, doveva svolgere la colonna di fanteria ed artiglieria da montagna verso lo Sleme stesso, per il momento concorrervi dimostrativamente. Spiegai questa decisione ai miei ufficiali. Insistendo particolarmente con Negrotto della necessità della sosta, parve persuaso. Lasciai la linea di fuoco  per scendere ad una cinquantina di metri, in un punto donde si scorgeva il terreno che avrebbe dovuto percorrere la colonna aggirante e vedere altresì l’arrivo dei battaglioni chiamati in rinforzo […]. Non erano trascorsi dieci minuti che scoppiò vivacissimo il fuoco sul fronte, seguito dal grido di «Savoia!».

Era Negrotto che preso, suppongo, da un accesso di pazzia guerriera, volendo, ritengo, coprirsi di gloria e dimostrare che la baionetta è ancora oggi la regina della battaglia aveva ad un tratto ordinato il fuoco celere e senza dar tempo neppure a quel mezzo di agire, era partito all’attacco con il cappello sulla sciabola, seguìto dal suo battaglione. Quei valorosi non avevano toccato il fondo della dolina che già venivano falciati a mucchi: il resto dava indietro, sulla posizione di partenza.

Esasperato per la inutile e aperta disubbidienza, presi velocemente a salire sulla linea di fuoco e dimentico di ogni precauzione mi ingolfai in una zona battuta da mitragliatrici nemiche. Il cappellano mi avvisò del pericolo e mentre mi volgevo verso di lui per rassicurarlo, ebbi la sensazione di ricevere un forte pugno sul fianco destro. Subito le gambe mi si piegarono sotto.[3]

 

Volutamente non ci si soffermerà sulla gravità della ferita e sull’azione tanto ingenua quanto sconsiderata del Negrotto, né sull’agonia di quest’ultimo e sulle condizioni miserevoli in cui si trovò De Rossi, dato per spacciato. Sarà opportuno scorgere invece in questo frammento durissimo della Grande Guerra il passaggio storico fra il clima morale delle Guerre Risorgimentali e le istanze feroci e sconosciute poste dalla tecnologia, capaci di riformulare interamente le dinamiche del conflitto.

 

 



[1] Il riferimento è alla scoperta del Piano Conrad.

[2] E. De Rossi, La vita di un Ufficiale italiano sino alla guerra, Milano: Mondadori, 1927, pp. 278 – 279.

[3] Ivi, p. 283.

venerdì 9 luglio 2021

Fonti per Tesi. La Relazione Ufficiale Italiana sulla Grande Guerra


 La Relazione ufficiale si compone di 67 Volumi ed è disponibile in tutte le biblioteche militari, oltre a quelle nazionali ed alle principali biblioteche universitarie (info: didattica.cesvam@istitutonastroazzurro.org)