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mercoledì 29 giugno 2022

Tema di Tesi. Materiali. Il Terrorismo in Africa

 

Terrorismo: Paesi del Sahel

di

Osvaldo Biribicchi


 (info: osvaldobiribicchi@virgilio.it)

Il Sahel, dall’arabo sahil significa limite o linea costiera, è la regione semi-arida compresa tra il deserto del Sahara e la Savana tropicale; si estende dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso per una lunghezza di 8.500 chilometri ed una larghezza che varia da 300 a 500 chilometri.

I Paesi compresi in questa fascia sono: Mauritania, Mali, Burkina Faso, Nigeria (la parte nord), Gambia, Guinea-Bissau, Niger, Senegal, Sudan, Ciad e Eritrea

Storicamente, mi riferisco al periodo antecedente alla colonizzazione europea, nel Sahel esistevano entità statuali molto importanti con un elevato livello di organizzazione politica, economica, giuridica, accademica, militare, tecnica, scientifica, architettonica, artigianale e medica[1]quali l’Impero del Ghana, fra il IV e il XII secolo, che si estendeva su un territorio comprendente parte dell’attuale Mauritania, Senegal e Mali. Intorno all’VIII secolo si affacciarono nell’Africa saheliana i primi viaggiatori arabi seguiti subito dopo dai commercianti attratti dallo splendore delle città che vi sorgevano ma soprattutto dalle ricchezze, in particolare dall’oro. Alla caduta dell’Impero del Ghana a causa di lotte interne tra i vari regni che lo costituivano si affermò l’Impero del Mali con capitale Timbuctù dal XIII al XV secolo. All’Impero del Mali fece seguito l’Impero Songhai, lungo il corso del fiume Niger, che tra il XV ed il XVI secolo fu uno degli imperi più potenti dell’Africa Occidentale. Più ad est, invece, sul Mar Rosso, si trovava il Regno di Axum di cui si hanno testimonianze già a partire dal IV secolo a.C. e comprendeva, intorno alla metà del terzo secolo d.C., i territori che oggi sono dell’Etiopia, dell’Eritrea, di Gibuti, di una parte del Sudan, dell’Egitto meridionale, della Somalia nonché, al di là del Mar Rosso, dello Yemen e dell’Arabia Saudita.

Quelle realtà statuali praticamente scomparirono con l’arrivo degli europei nel XVI secolo.

Lo scenario attuale dei Paesi saheliani è completamente capovolto, possiamo affermare senza tema di essere smentiti che non c’è traccia del glorioso passato dei popoli che vivono in questa regione dell’Africa. Non solo le popolazioni saheliane hanno perso memoria del loro passato essendo impegnate nella quotidiana lotta contro ogni sorta di avversità, ma sono tra le più povere del mondo nonostante, paradossalmente, i territori in cui vivono siano ricchi di materie prime. È sufficiente per rendersene conto consultare l’Indice di Sviluppo Umano per Paese 2022, redatto annualmente dalle Nazioni Unite. Nelle ultime dieci posizioni troviamo: Burkina Faso, Ciad, Mali e Niger (ultimo, 186°); poco sopra l’Eritrea al 179°, la Guinea-Bissau al 175° posto, il Gambia 171°, il Sudan 165°, il Senegal 163° e la Mauritania 158°. Una situazione, dunque, disastrosa.

La maggior parte dei Paesi del Sahel è afflitta da una preoccupante e perdurante instabilità politica dovuta sostanzialmente a due fattori: uno di carattere naturale quale la crescita demografica, i cambiamenti climatici, la lenta progressiva avanzata del deserto del Sahara, con la conseguente scarsità di cibo e acqua, e da ultimo anche la pandemia covid 19 che si aggiunge alle altre (febbre gialla, ebola, morbillo, malaria, colera) che affliggono la regione; l’altro di carattere strettamente umano ossia il terrorismo di matrice jihadista, i trafficanti di essere umani ed il moltiplicarsi di bande criminali di vario genere. Infine, l’aumento dei flussi migratori dovuti ad entrambi i fattori.

Il terrorismo, che è il tema di questa breve relazione, è un male peggiore delle avversità naturali; è una pandemia che provoca ogni anno decine di migliaia di morti, che provoca instabilità politica, indebolisce le già fragili istituzioni governative, disorienta ed ingenera paura tra i cittadini inducendoli ad abbandonare i propri villaggi le proprie case, in ultima analisi impedisce ai governi di affrontare le vere ed improcrastinabili sfide quali la realizzazione di efficienti sistemi sanitari nazionali, il potenziamento dell’istruzione e della formazione professionale dei propri giovani.                                                                    Questa instabilità politica in una regione ricchissima apre inevitabilmente le porte alla violenza di gruppi terroristici e criminali. Tale violenza nel Sahel è cresciuta a partire dalla caduta nel 2011 del regime di Gheddafi allorché le milizie Tuareg, che avevano combattuto a favore del leader libico, si sono riversate in massa nel nord del Mali rompendo i già delicati equilibri etnici dell’area. La disintegrazione della Libia, infatti, ha aggravato la situazione politica dei Paesi del Sahel aprendo le porte a nuove e più temibili organizzazioni terroristiche, per lo più di matrice jihadista, legate alla galassia di Al Qaeda e dell’Isis, ed a comuni bande criminali. Questi gruppi armati si muovono con relativa disarmante facilità negli ampi spazi sahelo-sahariani, in gran parte non controllati dai Governi centrali, sequestrano cittadini stranieri, trafficano droga, armi, esseri umani e oro da cui traggono i fondi per portare avanti i loro ricchi traffici. L’oro, nell’ambito di queste attività criminose, ha assunto particolare rilevanza e dato ulteriore linfa vitale alle formazioni terroristiche ed alle bande criminali da quando nel 2012 è stato scoperto nel Sudan un importante filone aurifero che attraversa tutto il Sahel. Nell’ultima decina d’anni, infatti, nella striscia saheliana sono comparse le cosiddette miniere d’oro artigianali, non controllate dagli apparati statali. Come efficacemente riporta Valeria Cagnazzo, autore presso Pagine Esteri: Sudan, Mali e Burkina Faso rientrano oggi tra i primi cinque produttori d’oro nel continente africano. Le tonnellate di minerale estratte nei Paesi lungo questo fiume hanno rimpiazzato in questi anni il cotone nel mercato delle esportazioni. Il boom dell’oro, tuttavia, ha attirato soprattutto le mire di gruppi parastatali. Almeno un terzo dell’oro della zona saheliana, infatti, è estratto in maniera “artigianale” e “informale”, ovvero da gruppi non statali, rappresentati da privati o da organizzazioni illegali, spesso armate, che controllano le miniere, i lavoratori che scavano nelle viscere del terreno e spesso anche le intere aree abitate intorno alle riserve. […] La gestione delle miniere d’oro da parte di attori non statali, inoltre, può avere un potere distruttivo sui governi dei Paesi coinvolti o, in altri casi, rafforzarne i regimi. In pieno stile neoliberista, infatti, in molte zone del Sahel le estrazioni sono affidate a imprese private legate al governo: in cambio di una completa autonomia, i proprietari dei giacimenti garantiscono un prezioso supporto all’élite della capitale e la sicurezza della regione mediante un proprio corpo armato. In altre aree, al contrario, in cui delle riserve d’oro si sono appropriati gruppi di opposizione, l’estrazione “artigianale” assume un potenziale deflagrante nei confronti dei fragili equilibri politici regionali. La completa deregolamentazione della corsa all’oro, soprattutto laddove lo Stato è assente, comporta la crescita del banditismo. I gruppi terroristici si moltiplicano anche grazie a questa risorsa e il fiume dell’oro diventa lo scenario di scontri armati per il controllo del sottosuolo.

L’estrazione del metallo prezioso al di fuori del controllo statale ha contribuito a destabilizzare ulteriormente l’assetto politico (tra il 2021 e l’inizio del 2022 si sono registrati cinque colpi di Stato militari rispettivamente in: Ciad, Guinea, Mali, Sudan, Burkina Faso) e sociale dell’area portando non solo nuova violenza ma anche lo sfruttamento della mano d’opera locale composta soprattutto da minori. Parlare di terrorismo non può prescindere da alcune doverose riflessioni: come è possibile che degli Stati sovrani, con tutto il peso della propria organizzazione militare, non riescano a controllare queste miniere d’oro, seppur situate in aree periferiche e disagiate, mentre gruppi paramilitari che certamente non hanno (o almeno non dovrebbero avere) alle spalle il supporto logistico delle forze governative riescano con tanta facilità a controllare, gestire e commerciare l’oro estratto da queste miniere informali. Un approfondimento a parte meriterebbe quest’ultimo aspetto, ovvero chi compra questo materiale prezioso e attraverso quali canali. Come è possibile che governi poveri (vedi l’Indice di Sviluppo Umano) si lascino sfuggire una tale ricchezza.                                        Orbene, in questo quadro saheliano si inseriscono ed operano attivamente decine di organizzazioni criminali e numerose formazioni terroristiche[2] (vedi allegato) che oltre a contendersi il territorio tra loro attaccano indiscriminatamente i villaggi provocando la fuga degli abitanti che cercano sicurezza nelle città meglio difese. Normalmente, i media si concentrano e riportano solo gli atti di terrorismo portati a termine da queste formazioni, episodi vili ed odiosi ma che rappresentano solo l’atto finale eclatante di una attività che parte da lontano. Queste azioni non potrebbero essere assolutamente realizzate, come sanno bene i militari di qualsiasi esercito al mondo, senza una adeguata ed efficiente organizzazione logistica che assicuri ai guerriglieri combattenti un costante rifornimento di armi, munizioni, vettovaglie, carburante, pezzi di ricambio in sintesi tutto ciò che occorre per il mantenimento di mezzi ed equipaggiamenti. Per sconfiggere questi gruppi terroristici che agiscono di sorpresa, e pertanto difficilmente fronteggiabili, sarebbe necessario colpire i loro “santuari”, ovvero le loro basi, le loro linee di rifornimento.    

È di tutta evidenza che il terrorismo nel Sahel non si può vincere solo con l’impiego dello strumento militare, sono necessari interventi coordinati di carattere politico-sociale; prioritariamente dovranno essere creati posti di lavoro per i giovani i quali, diversamente, andranno ad alimentare i ranghi delle formazioni terroristiche e criminali o, in alternativa, i flussi migratori verso l’Europa e verso i vicini Paesi confinanti. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, in una intervista alla France Press, il 10 settembre 2021, commentando il ritorno al potere dei Talebani in Afghanistan ha detto di «temere che l’esempio afghano possa suscitare emulazione tra i jihadisti del Sahel, la fascia di territorio dell’Africa subsahariana, dove sono attivi molti gruppi terroristici. “È un pericolo reale”, ha precisato. Con la presa del potere da parte dei talebani, ha concluso Guterres, “i gruppi terroristi nel Sahel possono sentirsi euforizzati e nutrire ambizioni al di là di quanto pensavano qualche mese fa”». Ci auguriamo solo che le parole del segretario generale delle Nazioni Unite rimangano nel campo delle ipotesi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Allegato

Formazioni terroristiche nel Sahel

 

1)      Formazioni terroristiche legate a dinamiche etniche locali e di matrice jihadista nel territorio maliano

2)      Formazioni terroristiche d’area nel Burkina Faso

3)      Front pour l’alternance et la concorde au Tchad-FACT

4)      Gruppo per il sostegno dell’Islam e dei Musulmani-JNIM

5)      Islamic State in the Greater Sahara-ISGS

6)      Islamic State in the Western Africa Province-ISWAP

7)      Boko Haram

8)      Milizie di autodifesa locali nel Niger

9)      Ribelli di Tigray People Liberation Front-TPLF

10)  Oromo Liberation Front-OLA, alias Shone Group

11)  Al Shabaab-AS, collegata ad al Qaida.

 

Fonte: Relazione annuale sulla Politica dell’informazione per la Sicurezza 2021.

 



[1] José do-Nascimento, Storia del continente africano, una lettura razionale e sintetica, Verona, QuiEdit, 2015, p. 76.

 

[2] Relazione annuale sulla Politica dell’informazione per la Sicurezza 2021.

lunedì 20 giugno 2022

Alessia Biasiolo; 1942 L'Operazione CHariot

 


Marzo 1942: l’Operazione Chariot

 

La battaglia nell’Atlantico si era rivelata una necessità tedesca per contrastare la supremazia statunitense che avrebbe impedito la politica hitleriana. Allo stesso tempo, gli anglo americani dovevano impedire che la Kriegsmarine potesse beneficiare dei porti francesi sull’oceano e, se si fosse riusciti nell’intento di minare le navi prima che potessero navigare, si sarebbero evitate perdite umane, con il nemico che sarebbe stato ostacolato nella sua strategia bellica.

 

Pertanto le operazioni atlantiche fervevano, e il 1942 certamente è stato un anno centrale in questa lotta, una volta che gli Stati Uniti erano entrati in guerra con l’agguerrito intento di porre fine alla supremazia tedesca e nipponica che avevano messo in ginocchio l’una l’Europa, l’altra la base navale hawaiana.

Venne messa a punto una nuova Operazione, denominata Chariot, nel marzo del 1942, allo scopo di rendere inservibile un bacino di carenaggio francese in uso alla Marina tedesca, soprattutto evitando che potesse ospitare la corazzata della classe Bismarck Tirpitz, la nave che principalmente aveva lo scopo di tenere occupata la Marina britannica, oppure che servisse da riparo per altre unità navali tedesche che in quel porto avrebbero potuto essere riparate in caso di avarie.

La Tirpitz, dal nome dell’ammiraglio della Kriegsmarine, prodotta dai cantieri Marinewerft  di Wilhelmshaven e varata nel 1939, era estremamente temuta dai nemici, tanto che vennero organizzati numerosi attacchi per danneggiarla ancor prima che divenisse operativa: subì in sei mesi sedici attacchi aerei da parte della Royal Air Force tra il 1940 e il 1941, senza riportare grossi danni, ma venne continuamente ancora cacciata dagli Alleati per cercare di affondarla, costringendola spesso a rifugiarsi tra i fiordi norvegesi. Il tallone d’Achille della corazzata era l’eccessivo consumo di carburante, che la rendevano vulnerabile ancor prima degli attacchi aerei e sommergibilistici, anche da parte sovietica.

Pertanto nell’Operazione Chariot, venne deciso di riempire di esplosivo, programmato con timer posizionati in cassoni di cemento che avrebbero reso impossibile il disinnesco, il cacciatorpediniere britannico HMS Cambeltown, condotto da volontari nel porto francese di Saint-Nazaire dopo averlo camuffato da torpediniere tedesco della classe Möwe. L’equipaggio che si occupò dell’operazione doveva poi essere imbarcato sulle navi al seguito. In effetti questa fase operativa portò in salvo soltanto un terzo circa degli uomini impiegati. L’Operazione realizzata il 28 marzo riuscì, con l’esplosione del cacciatorpediniere che mise fuori uso il bacino di carenaggio, causando la morte di tedeschi e civili francesi per un totale di duecentocinquanta caduti, mentre morirono 169 uomini della forza d’assalto e duecento vennero presi prigionieri.

Era chiaro che soltanto la supremazia tecnologica avrebbe risolto la Battaglia dell’Atlantico, quindi la gara alla messa a punto di adeguati sistemi di difesa era quanto mai essenziale. Nel 1942 gli U-Boote tedeschi vennero equipaggiati con il nuovo radar Metox che riusciva a captare i radar sugli aerei; ben presto il numero di attacchi dal cielo, tuttavia, aumentò con grande precisione, facendo sospettare che il radar stesso fosse facilmente rilevabile. In effetti ciò era vero, tanto quanto il nuovo radar inglese H2S a banda centimetrica e non rilevabile dal radar tedesco Metox.

Il numero di apparati continuò a moltiplicarsi su ambo i fronti, con efficacia nell’uso variabile, tuttavia l’allarme radar serviva soltanto in condizioni di buona visibilità e, pertanto, di giorno, dal momento che altrimenti non era possibile organizzare attacchi aerei contro i sommergibili che, di rimando, restavano al sicuro.

Un nuovo input nella strategia bellica navale venne dato dal proiettore Leigh che veniva installato sui bombardieri per poter illuminare il mare e avvistare gli U-Boote, soprattutto in fase di attacco finale: illuminando il sommergibile in emersione, era possibile puntare con precisione e affondarlo. Il proiettore Leigh sostitutiva così il razzo illuminante che doveva essere sparato per avere idea di dove fosse il bersaglio, ma dando al nemico un importante preavviso. Il proiettore Leigh poteva, invece, essere acceso all’ultimo minuto, impedendo l’organizzazione della difesa avversaria. L’utilizzo del proiettore ridusse di molto le perdite causate dai sommergibili tedeschi.

Nello stesso 1942, venne messo a punto anche il porcospino, un mortaio antisommergibile che poteva lanciare dalla prua della nave ventiquattro bombe in grado di colpire il sommergibile nemico e di esplodere all’impatto, a differenza delle cariche di profondità che esplodevano ad una profondità prestabilita, dovevano essere lanciate dalla poppa e smuovevano molto l’acqua, rendendo difficile poter avvistare il bersaglio. Con il porcospino il sommergibile poteva essere continuamente monitorato e attaccato fino all’avvenuto affondamento, tanto che si arrivò ad un buon 25 per cento di affondamenti riusciti, quasi quattro volte più rispetto ai successi ottenuti con le bombe di profondità.

 

Alessia Biasiolo

giovedì 9 giugno 2022

Tema di tesi: l'azione anarchica attraverso il terrorismo nelgi Stati Uniti alla fine dell'800

 


 

Lineamenti generali

Come in Europa anche negli Stati Uniti vi sono attentati al potere politico. Ne è prova l’azione dell’anarchico Leon Czolgosz, che uccise il presidente degli Stati Uniti Willian M. Kinley, il cui intento dichiarato era quello di “liberare il popolo americano”, colpendo un “nemico della classe operaia.

 La reazione all’uccisione del Presidente fu molto decisa: furono varate una serie di leggi contro gli anarchici che furono di sbarramento al diffondersi della lotta che in ultima analisi aveva come obiettivo la distruzione del sistema politico e l’arrivo al potere delle masse proletarie. La lotta agli anarchici fu tale che si protrasse anche nel secolo successivo fino ad arrivare agli eccessi come il caso degli anarchici italiani Sacco e Vanzetti accusati e giustiziati innocentemente.

In sostanza negli Stati Uniti l’azione anarchica si mescolò alle lotte del proletariato contro il capitalismo repressivo. Un vero e proprio terrorismo anarchico non fu raggiunto. Le poche azioni dirette sono riconducibili più alla rivolta armata o all’assassinio politico, che al terrorismo


Figure rilevati:L'anarchico Sasha Berkman, l'anarchicoCzolgoz,

Analisi e approfondimeti sulla azione dell'Ordine dei Cavalieri del Lavoro  e della Federazione Americana del lavoro

Pensatori come Emma Goldman (1869 -1940) e Benjamin R. Tucker (1854 -1939)  veri dottrinari anarchici


 Cenni e considerazioni sul Caso Sacco e Vanzetti (1927)