Italia e il Mare tra geopolitica, sicurezza nazionale
e strategia economica
di
Anastasia Latini
Il 15 marzo nell'aula del Rettorato della Sapienza di Roma si
è tenuta la conferenza “Italia e il Mare tra geopolitica, sicurezza nazionale e
strategia economica” a cui hanno partecipato numerose personalità del mondo
politico ed accademico per confrontarsi su un argomento centrale per lo
sviluppo del nostro paese, eppure spesso messo ai margini del dibattito pubblico: il Mediterraneo.
Il mare nostrum è di nuovo salito agli onori della
cronaca, da qualche anno, specialmente in relazione ai numerosi sbarchi di
emigranti che attraversano la distesa d'acqua che ci separa dalle coste del
Nord Africa, spesso con esiti drammatici.
In questo seminario si sono voluti affrontare i vari aspetti
e le varie sfaccettature del nostro rapporto con il Mar Mediterraneo perché,
come si è spesso ripetuto nel corso delle dissertazioni, l'Italia con i suo
quasi ottomila chilometri di coste è uno Stato fondato sul mare, anche se
spesso sottovalutiamo questa nostra imprescindibile dimensione marina.
Ad oggi che le coste mediterranee sono scosse da profondi
sommovimenti politici, religiosi ed economici è centrale tornare ad analizzare
le problematiche che le scuotono, in funzione soprattutto di riproporne in
ambito internazionale la centralità e richiamare l'attenzione su cosa accade
alla frontiera meridionale d'Europa.
Con il saluto del Magnifico Rettore, del direttore del
Dipartimento di Scienze Politiche, Fulco Lanchester, e degli onorevoli Rossi e
Velo si sono dunque aperti i lavori sulla prima parte riguardante lo
spostamento degli assi geopolitici, ovvero il mare e la sicurezza nazionale.
Sono intervenuti illustri relatori come i senatori Pier
Ferdinando Casini e Nicola LaTorre, i quali hanno esposto le maggiori
problematiche che ci troviamo ad affrontare: dalla crisi ucraina allo
spostamento degli interessi statunitensi verso il Sud-est asiatico, la nota
emersa è che le vicissitudini del Medio Oriente, da cui siamo divisi solo da un
braccio di mare, riguardano sempre più da vicino l'Europa che deve tornare ad
occuparsi da protagonista, non da attore subordinato, del grande scenario
mediterraneo.
L'Ammiraglio De Giorgi, capo di Stato Maggiore della Marina,
ha ulteriormente chiarificato la situazione evidenziando come diversi fattori
abbiano contribuito a creare un clima di instabilità: il cambio del blocco
delle alleanze, la globalizzazione, la pressione demografica esercitata dai paesi
poco sviluppati accentuata dall'effetto dei cambiamenti climatici che
impoverisce ulteriormente il retroterra contadino dal quale molti provengono, e
che spinge a grandi esodi verso il nostro continente e attraverso il
Mediterraneo.
Come hanno rilevato lui e i relatori che l'hanno seguito c'è
uno spostamento degli interessi internazionali verso il mare che, insieme ad
internet, è il grande pilastro della globalizzazione mondiale: il 65% della
popolazione vive a ridosso delle coste e il 90% delle merci si sposta
sull'acqua di cui il 19% nel solo Mediterraneo.
Il professor Gianfranco Lizza ha spiegato l'importanza della
costruzione di una sinergia tra le due sponde nella seconda parte, che verteva
proprio sulle strategie economiche e le rotte marine, indicando come l'Europa
abbia guardato ad est quando sono il Nord Africa e il Medio Oriente, al momento
dilaniati da uno scisma religioso tra sunniti e sciiti, i concorrenti diretti
nel controllo del bacino.
Il rafforzamento della nostra Marina ricopre un ruolo
centrale nel potenziamento dell'influenza italiana, a fronte degli investimenti
di stati come il Marocco o l'Algeria che puntano ad una posizione di hub
portuali sul Mediterraneo.
Questo aspetto è stato ribadito anche da Luca Sisto
(Confitarma) che ha fatto notare come il nostro paese sia “amarittimo”, come
non si sia dotato nel corso del tempo degli strumenti necessari allo sviluppo
del settore: in Italia manca un ministero della Marina Mercantile, fatto
inconcepibile per un paese che vanta una flotta di 1500 navi, la maggior parte
delle quali privata.
Argomento ripreso da Alberto Maestrini, direttore costruzione
navi militari di Fincantieri, che ha spiegato i punti di forza di questa
industria, che produce un introito di 4 miliardi l'anno e che mantiene le
competenze e il know how in Italia, un aspetto oggi tutt'altro che
secondario.
Il professor Paolo Sellari ha spiegato come ci sia un
problema di competitività del paese che contribuisce a produrre il gap logistico di cui soffre il
Mediterraneo: la “nuova” (riconducibile agli anni Ottanta) forma dei traffici
marittimi basata sul sistema degli hub spoke, basata a sua volta sulle
rotte “giramondo”, ha rivoluzionato i commerci su scala mondiale,
insieme alla verticalizzazione dei porti che sono oggi centri borsistici di
prim’ordine e non si fondano più su un’economia labour intensive ma capital
intensive.
Il dottor Daniele Scalea ha concluso la dissertazione
mettendo in evidenza come tra le due crisi che oggi maggiormente interessano
l'Europa, ucraina e medio orientale, sia stata la prima a catturare in modo più
marcato l'attenzione dell'Occidente.
L'estremismo salafita, benché militarmente non sia una
minaccia per l'Europa, rimane una minaccia per il Mediterraneo, e lo Stato
Islamico, sua derivazione, nasce da quella pianta difficile da sradicare che ha
dato vita anche ad al Qaeda e alle sue mille ramificazioni, principale ostacolo
ad una convergenza di interessi dei paesi mediterranei.
Tornare a parlare di Mediterraneo è oggi indispensabile allo
sviluppo dell'Unione Europea e al suo processo di integrazione politica che
deve svilupparsi a prescindere dall'autorità sempre più lontana degli Stati
Uniti, anche per via del crescente divario tra le due sponde dell'Atlantico.
Occuparsi del Mediterraneo, rimetterlo al centro di un
dibattito e di un ragionamento di lungo periodo è la necessità primaria emersa
in questa giornata che ne a marcato l'importanza per il nostro percorso futuro.
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