di Alessio Pecce*
I continui attacchi terroristici, ultimo in ordine
cronologico quello di Bruxelles, hanno
alimentato qualche sospetto in merito ad una scarsa collaborazione tra
le forze di polizia europee nel contrasto al terrorismo. Eppure dopo
l'attentato alle torri gemelle gli Stati europei, oltre ad aver completamente
cambiato la concezione nel definire il soggetto terrorista, si sono adoperati per
svolgere, immediatamente, nuove modalità di indagine. Il primo passo, infatti,
è stato il rafforzamento di una cooperazione d'intelligence, giudiziaria e di
polizia. L'ambito giudiziario e investigato, utilizzati dalla comunità
internazionale, sono sempre stati di estrema importanza ai fini delle indagini
nelle pianificazioni antiterrorismo. Dopo l'11 settembre si sono inoltre
intensificate le logiche riguardanti la prevenzione dei rischi per la sicurezza
dello Stato, come ad esempio l'implementazione di quattro settori d'azione per
ciò che concerne la strategia anti terrorista nell'Unione Europea: la
protezione dei cittadini, la prevenzione dei rischi, il perseguimento dei reati
terroristici e le risposte ad eventuali attacchi. Nel giugno 2002 viene stilata
la costituzione delle squadre investigative comuni in materia di
contrasto alla criminalità organizzata, compresa quella terroristica e
transnazionale. A ciò si aggiunge la formazione di Eurojust ed Europol,
grazie alle politiche congiunte dell'UE: soprattutto per quanto riguarda il
primo, la priorità risulta essere la cooperazione internazionale nella lotta al
terrorismo, grazie anche allo scambio di informazioni, incontri di
coordinamento bilaterale/multilaterale e l'interscambio tra magistrati e forze
di polizia. L'Unione Europea, dopo i passati e inaspettati attacchi
terroristici, si basa su quattro pilastri interscambiabili tra loro:
1) gli Stati membri dell'UE devono adottare e
fare proprie le norme di contrasto nella lotta al terrorismo, previste
dall'ONU. Tali misure, infatti, presenti dal 1963, fanno riferimento alla
repressione dei reati contro i soggetti appartenenti alle Istituzioni, al
divieto di azioni illecite contro aeromobili, alla detenzione di ostaggi
civili, agli attacchi terroristici contro la navigazione marittima, alla
soppressione di attacchi provocati da esplosivo ed eliminazione dei
finanziamenti a vantaggio di opere potenzialmente terroristiche;
2) asse collaborativo tra UE e Stati Uniti
d'America attraverso accordi bilaterali, in merito allo scambio di informazioni
tra le agenzie d'intelligence e forze di polizia;
3) secondo il piano d'azione di contrasto al
terrorismo del 2001, seguito da quello del 2004, sono stati creati degli
elenchi di soggetti ritenuti responsabili di atti di terrorismo, visibili
quindi agli Stati membri, seguito dal congelamento di fondi economici e
dall'avvio immediato di un mandato d'arresto europeo, fino alla formazione di
una strategia europea comune che contrasti qualsiasi atto di matrice terroristica;
4) controllo nelle zone extra europee, utilizzo
del programma EURODAC (dattiloscopia europea) per le impronte digitali,
analisi accurate concernenti la possibilità di attacchi terroristici da zone
quali America Latina, Asia Sud-Orientale e Meridionale.
Ma come accennato all'inizio, uno dei punti basilari che non
ha funzionato per evitare la strage di Bruxelles, e non solo, è stata la scarsa
collaborazione tra le forze di polizia e quindi lo scambio di informazioni
multilaterali. Al contrario, invece, vi è una maggiore cooperazione tra gli
Stati europei e gli Usa, grazie anche alle strategie avviate all'indomani
dell'11 settembre.
La formazione di Europol deputata a promuovere la
collaborazione tra le forze di polizia internazionali, non prevede l'obbligo di
cooperazione in tema di terrorismo, così come il progetto di procura europea.
Alla base vi è sostanzialmente l'assenza di una vera e
propria definizione di terrorismo, in grado di racchiudere per intero il
significato di terrorismo internazionale, tant'è che tale difficoltà si
riscontra anche nelle modalità di esecuzione degli atti dell'UE: il 13 giugno
2012 sono state inserite alcune definizioni in merito ai “reati terroristici”,
tralasciando al contempo il vero e proprio significato della terminologia. A
tutto ciò si deve aggiungere l'insufficienza dei database comuni: quelli
disponibili sono formati dall'Accordo di Schengen e dal Trattato di Prum,
grazie ai quali si possono ottenere informazioni su persone sospette, scomparse
e non aventi diritto nell'area Schengen, e lo scambio dei dati provenienti dal
Dna di soggetti condannati penalmente.
Ovviamente tutto ciò non basta per fermare i piani e le
azioni dei terroristi, ma occorre necessariamente una rivisitazione e quindi
una modifica delle strategie di contrasto, attuate attraverso una stretta
cooperazione tra le varie forze di polizia internazionali.
Alessio Pecce (alessio-p89@libero.it)
Dottore magistrale in Scienze dello Sviluppo e della
Cooperazione Internazionale. Specialista nella progettazione, gestione,
valutazione e ricerca per conto di istituzioni politiche e sociali,
organizzazioni economiche, imprese ed enti internazionali.
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