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venerdì 13 maggio 2016

LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE TRA LE FORZE DI POLIZIA

 di Alessio Pecce*
 I continui attacchi terroristici, ultimo in ordine cronologico quello di Bruxelles, hanno  alimentato qualche sospetto in merito ad una scarsa collaborazione tra le forze di polizia europee nel contrasto al terrorismo. Eppure dopo l'attentato alle torri gemelle gli Stati europei, oltre ad aver completamente cambiato la concezione nel definire il soggetto terrorista, si sono adoperati per svolgere, immediatamente, nuove modalità di indagine. Il primo passo, infatti, è stato il rafforzamento di una cooperazione d'intelligence, giudiziaria e di polizia. L'ambito giudiziario e investigato, utilizzati dalla comunità internazionale, sono sempre stati di estrema importanza ai fini delle indagini nelle pianificazioni antiterrorismo. Dopo l'11 settembre si sono inoltre intensificate le logiche riguardanti la prevenzione dei rischi per la sicurezza dello Stato, come ad esempio l'implementazione di quattro settori d'azione per ciò che concerne la strategia anti terrorista nell'Unione Europea: la protezione dei cittadini, la prevenzione dei rischi, il perseguimento dei reati terroristici e le risposte ad eventuali attacchi. Nel giugno 2002 viene stilata la costituzione delle squadre investigative comuni in materia di contrasto alla criminalità organizzata, compresa quella terroristica e transnazionale. A ciò si aggiunge la formazione di Eurojust ed Europol, grazie alle politiche congiunte dell'UE: soprattutto per quanto riguarda il primo, la priorità risulta essere la cooperazione internazionale nella lotta al terrorismo, grazie anche allo scambio di informazioni, incontri di coordinamento bilaterale/multilaterale e l'interscambio tra magistrati e forze di polizia. L'Unione Europea, dopo i passati e inaspettati attacchi terroristici, si basa su quattro pilastri interscambiabili tra loro:
1) gli Stati membri dell'UE devono adottare e fare proprie le norme di contrasto nella lotta al terrorismo, previste dall'ONU. Tali misure, infatti, presenti dal 1963, fanno riferimento alla repressione dei reati contro i soggetti appartenenti alle Istituzioni, al divieto di azioni illecite contro aeromobili, alla detenzione di ostaggi civili, agli attacchi terroristici contro la navigazione marittima, alla soppressione di attacchi provocati da esplosivo ed eliminazione dei finanziamenti a vantaggio di opere potenzialmente terroristiche;

2) asse collaborativo tra UE e Stati Uniti d'America attraverso accordi bilaterali, in merito allo scambio di informazioni tra le agenzie d'intelligence e forze di polizia;

3) secondo il piano d'azione di contrasto al terrorismo del 2001, seguito da quello del 2004, sono stati creati degli elenchi di soggetti ritenuti responsabili di atti di terrorismo, visibili quindi agli Stati membri, seguito dal congelamento di fondi economici e dall'avvio immediato di un mandato d'arresto europeo, fino alla formazione di una strategia europea comune che contrasti qualsiasi atto di matrice terroristica;

4) controllo nelle zone extra europee, utilizzo del programma EURODAC (dattiloscopia europea) per le impronte digitali, analisi accurate concernenti la possibilità di attacchi terroristici da zone quali America Latina, Asia Sud-Orientale e Meridionale.

Ma come accennato all'inizio, uno dei punti basilari che non ha funzionato per evitare la strage di Bruxelles, e non solo, è stata la scarsa collaborazione tra le forze di polizia e quindi lo scambio di informazioni multilaterali. Al contrario, invece, vi è una maggiore cooperazione tra gli Stati europei e gli Usa, grazie anche alle strategie avviate all'indomani dell'11 settembre.
La formazione di Europol deputata a promuovere la collaborazione tra le forze di polizia internazionali, non prevede l'obbligo di cooperazione in tema di terrorismo, così come il progetto di procura europea.
Alla base vi è sostanzialmente l'assenza di una vera e propria definizione di terrorismo, in grado di racchiudere per intero il significato di terrorismo internazionale, tant'è che tale difficoltà si riscontra anche nelle modalità di esecuzione degli atti dell'UE: il 13 giugno 2012 sono state inserite alcune definizioni in merito ai “reati terroristici”, tralasciando al contempo il vero e proprio significato della terminologia. A tutto ciò si deve aggiungere l'insufficienza dei database comuni: quelli disponibili sono formati dall'Accordo di Schengen e dal Trattato di Prum, grazie ai quali si possono ottenere informazioni su persone sospette, scomparse e non aventi diritto nell'area Schengen, e lo scambio dei dati provenienti dal Dna di soggetti condannati penalmente.
Ovviamente tutto ciò non basta per fermare i piani e le azioni dei terroristi, ma occorre necessariamente una rivisitazione e quindi una modifica delle strategie di contrasto, attuate attraverso una stretta cooperazione tra le varie forze di polizia internazionali.



Alessio Pecce (alessio-p89@libero.it)

Dottore magistrale in Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale. Specialista nella progettazione, gestione, valutazione e ricerca per conto di istituzioni politiche e sociali, organizzazioni economiche, imprese ed enti internazionali.


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