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mercoledì 9 marzo 2022

Tiberio: Un inizio incerto II parte

Di Mirko MOlteni 


Testo Tratto da Civilta Romana. Conoscere la Storia Numero Speciale. info: www.conoscerelastoria.it

UN INIZIO INCERTO

Dopo la cremazione del corpo di Augusto nel Campo Marzio, i senatori chiesero a Tiberio di assumere il ruolo e il titolo del padre. Non si sa se per modestia o per strategia, egli inizialmente rifiutò, ma poi cedette alle suppliche e il 17 settembre si accollò l'onere di guidare lo Stato romano.  Il suo primo atto pubblico, oltre che confermare il cospicuo donativo lasciato dal padre ai soldati, fu quello di divinizzare il genitore: il divus Augustus andò a occupare, insieme a Giulio Cesare, un posto di rilievo nella devozione pubblica e divenne oggetto di culto.

Non tutti erano entusiasti dell'ascesa al trono di Tiberio. Egli aveva dimostrato, invero, buone capacità politiche e militari quando, appena ventenne, Augusto lo aveva inviato in Armenia per neutralizzare il re Artaxias II, che aveva preso a tramare con i Parti, Aveva poi confermato il suo valore nell'Illirico, in Pannonia, in Gallia e infine in Germania; qui aveva contenuto i danni della disastrosa sconfitta subita nel 9 d.C. dalle legioni guidate da Publio Quintilio Varo nella selva di Teutoburgo per opera dei Germani guidati da Arminio: una catastrofe che aveva suscitato immenso clamore e gettato Roma nel panico. Ma il suo antico maestro di retorica, il greco Teodoro di Gadara, che ben lo conosceva, lo disprezzava definendolo “fango intriso di sangue”, né migliore opinione nutrivano di lui quanti avevano cinicamente osservato la sua ascesa al potere, avvenuta solo perché tutti gli altri potenziali candidati erano provvidenzialmente “usciti di scena”.

Moltissimi erano poi sostenitori di suo nipote Germanico (che lo stesso Tiberio aveva adottato per ordine di Augusto), comandante dotato di enorme carisma. Inviato contro i barbari sul fronte settentrionale, il giovane era riuscito nell'eccezionale impresa di recuperare le insegne di due delle tre legioni massacrate a Teutoburgo, guadagnandosi l'adorazione delle truppe e del popolo. Seguendo la più classica strategia del promoveatur ut amoveatur, Tiberio pensò quindi di sbarazzarsi dell'ingombrante presenza di Germanico affidandogli un incarico speciale in Siria; qui sarebbe stato controllato a vista dal fido Gneo Calpurnio Pisone, eletto alla carica di governatore, così da scoraggiare ogni possibile ambizione del nipote. Ma non tutto andò come Tiberio avrebbe voluto. Pisone e Germanico finirono presto ai ferri corti e il governatore stizzito, decise di abbandonare la Siria per tornarsene a Roma. Non appena il funzionario partì, Germanico cadde ammalato ad Antiochia e, dopo atroci sofferenze, si spense il 10 ottobre del 19 a soli 34 anni, confessando alla moglie Agrippina Maggiore il sospetto di essere stato avvelenato.

Tale dubbio prese corpo quando la vedova, celebrate le esequie del consorte, potrò con sé le ceneri del marito a Roma, azione che mosse il popolo al compianto e allo sdegno. Corse voce che il mandante del presunto omicidio fosse lo stesso Tiberio, geloso della grandissima popolarità di Germanico. Il conseguente processo a Pisone non riuscì a provare l'avvelenamento, ma indusse ugualmente l'ex governatore a togliersi la vita. L'imperatore dal canto suo, non fece nulla per tacitare i maligni e non solo non presenziò alla tumulazione dei resti del figlioccio nel mausoleo di Augusto, ma evitò anche di pronunciarsi in difesa di Pisone.

L'impatto della vicenda sull'immagine di Tiberio fu disastroso e venne ulteriormente aggravato dalla tragica morte del suo unico figlio naturale, Druso Minore, di due anni più giovane di Germanico ma altrettanto carismatico e valoroso. Inviso all'ambizioso prefetto del pretorio, Lucio Elio Seiano, Druso morì avvelenato nel 23, forse per mano di un libero, forse assassinato dalla moglie Claudia Livilla, che nel frattempo era divenuta amante di Seiano. Ebbro di potere, quest'ultimo vide la concreta possibilità di manipolare Tiberio per ottenere la nomina a suo successore e si diede a eliminare spietatamente, o a neutralizzare per mezzo dell'esilio, tutti i concorrenti, dai giovani figli di Germanico (posti sotto la tutela del Senato) agli amici dello stesso condottiero defunto.


IL RITIRO A CAPRI

Seiano riuscì persino a convincere l'ormai ultra sessantenne Tiberio a ritirarsi prima in Campania e poi sull'isola di Capri, dove l'augusto accarezzò forse l'idea di abdicazione. Accerchiato dall'odio del popolo, l'imperatore era devastato  da una malattia che gli sfigurava il volto: ormai stanco e amareggiato, non era che un burattino nelle mano del bramoso prefetto. Seiano approfittò del suo ascendente anche per convincere Tiberio a concentrare  le truppe in città, all'interno dei Castra Pretoria: in tal modo, con l'esercito a sua completa disposizione, poteva controllare tutto e agire a proprio piacimento, escludendo il senato da ogni decisione.

Roma era oppressa da un clima di terrore. I delatori si nascondevano ovunque e chiunque fosse anche solo sospettato di opporsi ai disegni del prefetto veniva eliminato dalla scena politica. Tuttavia, la situazione restò più o meno stabile fino alla morte di Livia Drusilla, che con il suo carattere autoritario era riuscita in qualche modo a influenzare il governo. Uscita di scena la vecchissima madre di Tiberio, Seiano ebbe gioco facile nell'accanirsi contro la povera Agrippina e suo figlio Nerone Cesare, montando sul loro conto accuse false e infamanti: la prima fu deportata nell'isola Pandataria, dove morì nel 33; il secondo, tacciato di omosessualità e tentata sovversione, venne spedito al confino a Ponza, dove si spense, forse suicida.

La cieca ambizione di Seiano, tuttavia, lo portò a compiere vari passi falsi. Quando nel 31, la vedova di Druso Maggiore, Antonia, facendosi interprete dei sentimenti di moltissimi senatori ormai stanchi dei soprusi del prefetto, raccontò a Tiberio tutte le malefatte del suo braccio destro, l'imperatore aprì gli occhi e decise finalmente di destituirlo. Fingendo di conferire a Seiano l'ambita tribunicia  potestas (che costituiva di fatto  l'anticamera alla successione imperiale), Tiberio incaricò il prefetto dell'Urbe, Macrone, di convocare il Senato. Ma mentre l'ambizioso prefetto sedeva compiaciuto tra i banchi in attesa della nomina, fu tacciato di tradimento dall'imperatore stesso. La sua fine fu ingloriosa: arrestato e processato nel tempio della Concordia, fu condannato allo strangolamento e alla  damnatio memoriae; il suo cadavere venne addirittura lasciato alla mercé del popolo, che ne fece scempio trascinandolo per le vie di Roma prima di gettarlo nel Tevere.

esto Tratto da Civilta Romana. Conoscere la Storia Numero Speciale. info: www.conoscerelastoria.it


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