Decorazioni al Valor Militare, la
spiegazione sociologica
Di
Valentina Trogu
Le decorazioni al Valor Militare sono
volte all’esaltazione degli atti di eroismo militare, anche compiuti in tempo
di pace, a condizione che l'impresa sia strettamente connessa con le finalità
per le quali le Forze militari dello Stato sono costituite. Rappresentano un
segno distinguibile, un simbolo ricco di significato artefice della
trasmissione di una informazione precisa. Il sociologo Ervin Goffman identifica
nella società tre tipologie di simboli ossia i simboli di status o simboli di
prestigio, i simboli stigma e i simboli distruttori dell’identità. I primi
confermano l’informazione sociale associata ai segni di riferimento di un
individuo accreditando una pretesa ad una posizione sociale, ad un particolare
prestigio o all’onore. In un articolo degli anni 50 Goffman ha distinto i
simboli di status indicanti la posizione sociale occupata dalla persona, l’esempio
dei distintivi di grado con riferimento alla gerarchia militare è
chiarificatore, dai simboli di stima che quantificano il livello di operosità
dell’individuo in relazione ai doveri da eseguire in base alla posizione che
occupa. Un esempio di simboli di stima sono le decorazioni al Valore Militare
assegnate a chi si è distinto tra tanti dimostrando coraggio, spirito di
sacrificio, lealtà alla propria patria e abnegazione. La storia insegna che gli
uomini che hanno lottato mettendo a rischio la propria vita per seguire un
ideale o per tutelare i propri compatrioti non sono accumunati da un unico
destino né da una stessa origine. Hanno ricevuto medaglie nobili condottieri,
generali e alti ufficiali ma sono stati riconosciuti come eroi nazionali anche
giovani soldati privi di preparazione e di consapevolezza del loro atto
chiamati a combattere per difendere la nazione da un nemico pericoloso e
violento. La Prima Guerra Mondiale è un chiaro esempio della chiamata alle armi
di giovani uomini il cui valore riconosciuto sul campo lo hanno dimostrato
offrendo la propria vita per uno scopo più elevato, per alcuni forse
incomprensibile ma necessario da soddisfare. Dire “sì” all’andata in guerra è
stato un atto di responsabilità, un dovere etico da soddisfare che può essere
spiegato con riferimento alla teoria filosofica dell’obbligo o della condotta
morale volta allo studio dei criteri di identificazione delle azioni giuste con
riferimento ai canoni che stabiliscono cos’è moralmente doveroso fare all’interno
di una situazione in cui la persona è chiamata ad agire. I contesti in cui un
individuo si può trovare a compiere una scelta etica sono innumerevoli e gli
aiuti sulla decisione da prendere vengono dalla società in cui si è nati e
cresciuti, dalla cultura di riferimento, dai valori appresi fin dalla
primissima infanzia e dal senso di responsabilità acquisito non solo verso sé
stessi ma anche verso il prossimo. La relazione tra società ed etica è stata
studiata a fondo dai sociologi e sebbene negli anni 80 si tendesse a separare
la sociologia – scienza positiva che studia nei fatti le relazioni sociali –
dall’etica – scienza normativa che valuta l’agire degli individui – oggi si è
compresa la necessità di integrare le corrispondenze tra scelte etiche della
morale personale e il dovere selettivo stabilito dal sistema sociale. I principi personali e sociali non possono
distaccarsi dalla giustizia e dal bene comune, questa affermazione è alla base
della vita civile, dell’appartenenza ad una comunità e di termini quali
“patriottismo” e “nazionalismo”. All’etica si rivolge lo sguardo nel momento in
cui non si è in grado di dare una risposta ultima e definitiva ad una
situazione difficile convinti che, essendo sede del bene, della verità e della
giustizia, sia la chiave da utilizzare per aprire la porta sul giusto percorso
da intraprendere. Con riferimento al citato senso di appartenenza ad una
comunità vogliamo intendere la definizione classica della sociologia data al
termine “comunità”, un tipo particolare di relazioni sociali poste alla base di
collettività che coinvolgono l’individuo nella sua totalità e lo spronano ad
agire in un determinato modo. L’accettazione, l’adesione ai valori, il
desiderio di sentirsi parte attiva di un gruppo, il senso di responsabilità più
volte menzionato portano un individuo a compiere le scelte che lo fanno sentire
parte integrante della comunità stessa mettendo da parte, a volte,
l’individualismo in favore della società. L’antropologia, in effetti, definisce
la comunità come un endogruppo che marca i confini dell’appartenenza e della
distinzione fra ‘loro’ e noi’, collocando di conseguenza ‘gli altri’ fuori di
essa, fino ad escluderli. All’interno di questo contesto è semplice comprendere
il bisogno di tutelare il noi dal loro, la necessità di richiedere sostegno da
parte dei cittadini nel momento in cui si subisce un attacco dall’altro, dal
nemico. E in questi momenti di difficoltà si fa leva sull’orgoglio, sul senso
di appartenenza, sul patriottismo e sul nazionalismo per incoraggiare i giovani
soldati a mostrare il proprio valore davanti all’intera nazione per proteggere
i membri della propria comunità dalla violenza e dalla cattiveria di chi
appartiene ad un gruppo diverso. La coesione sociale, la volontà di protezione
e di difesa sociale sono alla base di un qualsiasi gruppo a partire dalla
famiglia, dal vicinato, dagli amici fino ad arrivare ad un insieme di persone
più ampio che comprende tutti coloro che condividono le tradizioni, la lingua,
la cultura e i valori.
La risposta alla chiamata di difesa del
proprio Paese, dunque, nasce da un senso del dovere inteso come un obbligo che
dipende da impegni presi in modo più o meno consapevole e legato alla necessità
di soddisfare condizionamenti, regolamenti, Leggi o disposizioni precise. È
difficile poter associare indiscutibilmente una risposta razionale all’agire
per senso di dovere; più volte è stato sottolineato come ragazzi appena
maggiorenni siano stati chiamati a combattere una guerra – il riferimento è
alla Prima Guerra Mondiale ma è facilmente riscontrabile anche ai giorni nostri
– di difficile comprensione senza avere gli strumenti giusti per affrontare
attacchi nemici né la preparazione adeguata per affrontare psicologicamente un
evento così terribile. Un impegno duro e, troppo spesso, dalle conseguenze tragiche
e letali che richiede necessariamente un riconoscimento per tutti coloro che
sono stati coinvolti e hanno lottato per difendere la Patria soprattutto quando
il numero delle vite umane perse in un conflitto si rileva particolarmente
elevato e mette davanti agli occhi di tutti la tragicità di una guerra e le
pesanti conseguenze che i sopravvissuti devono affrontare. La morte non può
essere il ricordo più grande perché devastante e disegno di una ferita profonda
e sanguinante difficilmente rimarginabile se non dovesse essere associata ad un
segno che possa non giustificare ma far accettare quanto accaduto riconoscendo
il grande sacrificio compiuto da figli, mariti, genitori, le gesta eroiche e il
valore dimostrato. Gli eroi sono individui dotati di capacità eccezionali o in
grado di sostenere imprese singolari, questa la definizione intrinseca del
termine a cui noi aggiungiamo il significato di individui che sanno lottare con
eccezionale coraggio e generosità, fino al cosciente sacrificio di sé, per una
ragione o un ideale ritenuti validi e giusti. Quest’ultima definizione appare
più giusta con riferimento ai combattenti togliendo, però, il termine
“eccezionale” dato che i giovani soldati e i decorati al Valore Militare sono,
in realtà, persone ordinarie diventate improvvisamente eroi. Il sociologo
americano Orrin Edgar Klapp ha dedicato vari articoli all’interpretazione
sociologica dell’eroe che ci permettono di capire la figura dell’eroe da una
prospettiva differente rispetto quella adottata comunemente. Per Klapp, l’eroe
popolare è un tipo sociale a cui viene attribuito spontaneamente un ruolo da
parte della società in un determinato luogo e tempo. Comprendere questo tipo
sociale significa comprendere un elemento simbolico essenziale della psicologia
collettiva a cui le persone reagiscono sollecitamente. Gli eroi popolari
emergono principalmente in epoche di instabilità e nascono per riconoscimento e
ossequio popolari spontanei; per selezione formale, come nel caso delle
onorificenze militari; per lo sviluppo graduale di leggende popolari e come
creazione poetica di drammaturghi, cantastorie e scrittori.
La nascita degli eroi è legata all’esistenza
di situazioni che suscitano emozione, tensione e coinvolgimento di tutta la
nazione e all’agire dell’individuo in queste particolari situazioni di crisi e
drammi che proiettano una luce nuova su tutto ciò che fino a poco tempo prima
era dato per scontato o considerato poco importante. Una guerra è l’evento per
eccellenza in cui possono proliferare gli eroi e non sempre il riconoscimento
viene dato a chi è stato realmente un valoroso combattente. Ma quando
l’iniziativa di premiare, ricordare e onorare i soldati nasce dal popolo, come
accaduto nella Prima Guerra Mondiale, per sottolineare il valore di giovani uomini,
difficilmente l’assegnazione della decorazione è sbagliata. Quando si è dinanzi
a persone comuni e ordinarie che hanno affrontato con coraggio un evento
eccezionale nella sua tragicità è un obbligo per i sopravvissuti onorare le
loro gesta e riconoscere l’impresa compiuta con devozione e spirito di
sacrificio soddisfacendo un obbligo per senso del dovere e per esprimere l’attaccamento
a quei valori militari profondamente radicati nella nostra cultura nel secolo
scorso. Il filosofo austriaco Viktor Emil Frankl ha affermato che è possibile scoprire
il significato della vita in tre diversi modi, col compiere un proposito, con
lo sperimentare un valore e con il soffrire. Parole che rispecchiano l’agire di
un combattente per la Patria e che sottolineano con fermezza l’esigenza di
ricompensare tale scoperta con una decorazione al Valor Militare.