Psicologia sociale e dovere
Sergio Benedetto Sabetta
Gli elementi
caratteristici del comportamento umano si rifanno all’etica, all’estetica, alla
sociologia relazionale nonché alla scienza cognitiva, in una somma
comportamentale e motivazionale dell’individuo, vi è quindi la necessità per il
singolo di fornire un senso riconoscibile al proprio lavoro svolto
nell’organizzazione, in questo nasce per la stessa la necessità di governare i
comportamenti simbolici.
Gli ordini, le
abitudini ed i comportamenti esprimono dei valori che si risolvono in una etica
organizzativa a cui solo l’adesione del
singolo può produrre qualità quale risultato di una etica condivisa, infatti
l’etica organizzativa può essere qualcosa con cui identificarsi, pertanto
buona, o al contrario da contrastare in quanto negativa.
Possiamo,
quindi, valutare la lotta per il potere all’interno delle organizzazioni anche
come lotta per imporre letture etiche delle singole azioni.
Accanto al
giudizio di approvazione o disapprovazione, ossia etico, vi è un giudizio
estetico, diretto alla determinazione del valore della realtà sensibile, ne
nasce un rapporto circolare tra etica, estetica, realtà sociale e l’immagine
che di essa si vuole dare.
Le reti
relazionali proprie di qualsiasi comunicazione sociale, nel costituire
attraverso il loro interagire la struttura relazionale di una organizzazione,
sono anche l’espressione delle dimensioni soggettive nel sistema di
apprendimento attraverso cui si trasmette l’esperienza organizzativa, il cui controllo
è una forma del potere organizzativo.
Alla
coercizione si affianca la seduzione (Bauman
) dei vantaggi derivanti dall’accettazione dell’offerta dei valori, così da
innalzare il livello di coesione basato solo sullo scambio e il timore, vi è un
inconscio organizzativo rilevabile dal clima organizzativo, per cui deve
esservi un equilibrio tra l’agire funzionale e quello simbolico, così da creare
relazioni emozionali esprimenti le identità.
Ogni norma sociale, ma anche giuridica,
funziona in un rapporto tra cultura simbolica ed interesse/sanzione, essa può
essere attesa e disattesa anche a seguito del rapporto simbologia/interesse, in
un equilibrio di contrasti/valori e nell’eventuale distorsione propria indotta
dagli interessi in gioco.
Lo stesso concetto di distorsione premette un giudizio ed un parametro
riconosciuto ed oggettivizzato attraverso una simbologia di valori riconosciuta
dal gruppo ed istituzionalizzata.
La norma
diventa cogente e quindi acquista valore in un rapporto tra interiorizzazione
culturale e repressione nascente dall’istituzionalizzazione del conflitto di
interessi, infatti la sua applicazione avviene, in caso di mancanza culturale,
solo a seguito della codificazione di un conflitto e l’interesse per tale
tenzone può essere indotto attraverso l’organizzazione di istituzioni pubbliche
o private esterne.
Questo
naturalmente non esclude lo scambio lecito, pertanto previsto ed accettato
nell’architettura sociale, o illecito, del tutto privato e in contrasto, quindi
non previsto né accettabile pena lo sfaldamento dell’efficienza dell’azione
organizzativa secondo la sua originale e prevista missione.
Nella norma
si possono riscontrare imperativi funzionali indirizzati agli scopi materiali
dell’organizzazione e imperativi simbolici, in cui i singoli realizzano o al
contrario si sentono ostacolati nei loro bisogni psichici e materiali, ma
mentre nell’organizzazione prevalgono necessariamente i risultati materiali a
cui la simbologia è accessoria, nel singolo, anche quale espressione dell’organizzazione,
vi è un alternarsi tra bisogni simbolici e materiali.
La norma non
solo impone ma media nelle relazioni tra soggetti provenienti da differenti
esperienze sociali, con differenti aspettative, infatti Harre e Secord ricordano che ognuno attribuisce a sé e all’altro
stati affettivo-cognitivi da lui presupposti ed agisce di conseguenza, la norma
può pertanto essere una pura norma istituzionale necessaria di una forte
repressione, ma anche una norma che ricomprende in sé una regola comportamentale
accettata.
Dobbiamo
considerare che le norme influenzano non solo il comportamento, ma anche le
emozioni ed i valori attribuiti ad esse, d’altronde la società è caratterizzata
dal principio per cui chi possiede certe caratteristiche sociali ha la ragionevole
certezza e quindi una pretesa di essere trattato e valutato in determinati
modi, circostanza legittimata e rafforzata dalla norma, la fiducia nel rapporto
tra dichiarato e caratteristiche sociali dovrebbe quindi fluidificare
l’efficienza sociale.
Il senso del dovere kantiano, per cui la
virtù è la necessità di un’azione per rispetto della legge a prescindere dalle
inclinazioni naturali, è il frutto di una interazione culturale la quale
richiede per alimentarsi il riconoscimento sociale dello sforzo su di sé
eseguito, ancor più se il dovere è in contrasto con le proprie pulsioni, ma
tale sforzo a sua volta necessita di un riconoscimento sociale nella norma che
diventa una legittimazione per legge.
Nasce qui la necessità innanzitutto di una chiarezza etica nella società,
ossia la creazione di una scala di valori a cui riferirsi, in un equilibrio tra
libertà individuale e funzionalità sociale.
Il vuoto
attuale nella fluidità dell’essere crea una variabilità, una incertezza che si
risolve in ansia e aggressività, in un rincorrere certezze mancanti per
riempire il vuoto sociale relazione e interiore, in un puro economicismo
consumistico finalizzato alla produzione e accumulo, attraverso un
condizionamento morbido che di fatto è un totalitarismo morbido (Gunther Anders) , ma che induce nelle
inevitabili crisi a inevitabili opposizioni.