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venerdì 28 febbraio 2025

Andrea Lopreiato. Un Parallelismo tra il nostro risorgimento e la guerra in Afganistan

 

QUI SI FA L’AFGHANISTAN O SI MUORE!

Un parallelismo tra il nostro Risorgimento e la guerra in Afghanistan.

 

LA NOSTRA PERCEZIONE DELLA STORIA E DEI FATTI

Nel suo libro “Apologia della Storia”, Marc Bloch, professore di Storia e padre dei moderni studi storici, narra un episodio da lui vissuto che può considerarsi l’incipit del libro stesso. Bloch, sottufficiale di leva, poi divenuto ufficiale durante il primo conflitto mondiale, era stato successivamente richiamato nell’Esercito francese anche durante la Seconda Guerra Mondiale, quale capitano addetto all’intelligence. La vita militare di Bloch influenzò molto il suo lavoro di storico e di patriota, tanto che egli perderà la vita, dopo aver combattuto come soldato in due guerre, quale membro della Resistenza francese. Insomma, una sorta di Indiana Jones ante litteram che scambiava libri e penna con fucili e bombe a mano con inusuale disinvoltura.

Quando nel giugno del 1940, l’Esercito francese si era rapidamente piegato all’avanzata tedesca, in quella che viene chiamata la “Campagna di Francia” o “Battle of France” dagli Alleati e mentre lo Stato Maggiore dell’Armata presso cui Bloch era inquadrato attendeva rassegnata il momento della cattura, trovandosi circondata a Dunkerque; in quel frangente un Ufficiale dello staff si abbandonava ad un commento: “Dobbiamo forse pensare che la storia ci abbia ingannati?”. Cosa non avevano capito i francesi della storia recente di conflittualità con la Germania?

Infatti, spesso la Storia viene studiata e non imparata, talvolta imparata ma non capita o ancor peggio, viene capita a modo nostro, ossia con i filtri dati dai nostri costrutti sociali e pertanto, difficilmente riusciamo a guardare la cosa da un’altra prospettiva o essere empatici con altre culture, col risultato di non capire la lezione, fallire il pronostico e non comprendere il perché un fatto si sia verificato, come fatto ottant’anni fa dall’Ufficiale citato da Bloch.

Ricordo che, nel 2014, un collega statunitense, davanti a una mappa del Medio Oriente, mi sottolineava come l’Iran fosse uno stato canaglia, inspiegabilmente a suo parere, nonché una minaccia per gli Stati Uniti. Gli risposi che io non ero un esperto di geo-strategia, tantomeno di geo-politica, però gli feci notare che c’erano truppe americane in Afghanistan, Iraq, Emirati del Golfo, una flotta che navigava nel Golfo Persico e una nel Mediterraneo, ossia quasi a circondare l’Iran per intero. Gli chiesi poi, “Se ci fossero truppe iraniane in Canada, in Messico, a Cuba e due flotte in navigazione nell’Atlantico e nel Pacifico, come americano, cosa penseresti? Chi sarebbe in quel caso sotto minaccia?”. La sua onesta risposta fu che non aveva mai osservato la situazione da quel punto di vista, ovvero dal punto di vista iraniano.

 

UN SINGOLARE PARALLELISMO

Le forze della coalizione a guida statunitense, dapprima con insegne nazionali e poi sotto i vessilli della NATO, hanno operato in Afghanistan per circa 20 anni dal 2001 al 2021, salvo poi terminare la missione con una ritirata fulminea, con i tratti drammatici di una rotta e con tanto di tragedia umanitaria di fuga di profughi e “collaboratori” disperati, le cui immagini hanno da subito fatto venire in mente la fuga americana da Saigon del 1975.

Ristudiando la storia dell’Afghanistan degli ultimi cinquant’anni, non ho potuto fare a meno di fare un parallelismo tra le vicende di quel tormentato Paese centrasiatico e il nostro Risorgimento.

Lungi da me paragonare il regime teocratico dei Talebani, che tanto si discosta dai nostri costumi, ai padri della Patria, ovvero di paragonare Massoud a Garibaldi; tuttavia ritrovo nello sviluppo politico-militare degli avvenimenti, volti alla riunificazione e indipendenza nazionale dei due Paesi, numerose affinità.

Verso la fine degli anni ‘70, l’Afghanistan è in balia di correnti interne che si dimenano tra chi vorrebbe modernizzare ed emancipare il Paese e chi lo vorrebbe ancorato alla tradizione agricola-feudale e ai ristrettivi precetti religiosi. Come spesso accade nei Paesi in via di sviluppo, il divario tra grandi città e campagne/montagne è abissale. I modernisti auspicano un futuro radioso per il loro Paese sotto le idee socialiste e i promessi principi di equità, abolizione di precetti e benefici feudali, ricevendo al contempo tecnologia e modernità. Complice di tutto, ovviamente, la confinante Unione Sovietica, portatrice internazionale di presunti valori sociali e morali, la quale avrebbero liberato tutte le nazioni del mondo dall’oppressione dei capitalisti, peraltro già cacciati dall’area un secolo prima quando si presentarono sotto forma di colonialisti britannici.

Dopo una serie di insurrezioni e mosse politiche poco chiare, nel 1979 l’URSS è “costretta” a intervenire a beneficio del vicino, caldamente invitata a Kabul dai comunisti locali, per portare il Paese verso la modernità e l’emancipazione. La cosa entusiasma forse un piccolo nucleo di “illuminati” cittadini, ma è ostile al clero e ai possidenti terrieri che subito mobilitano la popolazione nelle zone agro-pastorali dell’interno; tuttavia, il file rouge che unisce tutti i gruppi tribali, religiosi ed etnici non comunisti è cacciare lo straniero dal suolo patrio.

Non è uno scenario molto differente da quanto fatto da Napoleone nel 1796, quando entra in Italia con le armi portando i precetti della rivoluzione francese; acclamato da una frangia della borghesia italiana ma osteggiato dal clero e dai nobili, con popolani e contadini tiepidi poiché, col pragmatismo della povera gente, sanno che la loro vita non sarebbe assolutamente cambiata.

L’intervento sovietico in Afghanistan chiede subito un tributo di soldati locali per combattere la “reazione” dei Mujaheddin sostenuti dal clero e dagli altri oppositori, supportati, sebbene tiepidamente all’inizio, dalla potenza rivale dell’URSS: gli Stati Uniti. Ciò alla stregua della “Legione Italiana” che Napoleone portò a combattere sino in Russia, senza peraltro mai concedere al forte contingente il rango di Corpo d’Armata. Diciamo che più che i principi e la morale, alla Grand Armée così come all’Armata Rossa serviva “carne da cannone”.

In Afghanistan, nel 1989, dopo dieci anni di lotta, la “reazione” non è domata e anzi, gli Stati Uniti forniscono sempre nuovi e più potenti armamenti, anche se da soli non sarebbero decisivi, poiché l’URSS non impiega che il 2% delle sue forze nel Paese e un repentino surge di truppe sovietiche potrebbe ribaltare in un attimo la situazione. La vera differenza la fanno i Mujaheddin afgani; dei guerrieri indomabili che non danno tregua ai sovietici.

Tuttavia Gorbaciov nel 1989, come un novello Napoleone a Waterloo, ha a che fare con più grossi stravolgimenti politici interni ed è costretto a ritirare la sua Grand Armée, in realtà eufemisticamente chiamata “Contingente limitato di forze sovietiche in Afghanistan”.

Come il ritiro di Napoleone lascia due regni filo-napoleonici in Italia, appunto il Regno d’Italia e il Regno di Napoli, anche Gorbaciov lascia in Afghanistan uno stato filo-sovietico retto dal presidente Najibullah; in entrambi i casi i destini di questi Stati fantoccio sono segnati in partenza e resistono poco tempo senza il supporto della potenza che li ha istituiti.

Nel 1992, Najibullah lascia il potere e la “reazione” guidata dai Mujaheddin riprende il controllo della nazione, riportando tutto ad un’era pre sovietica, proprio come il Congresso di Vienna aveva fatto dopo le guerre napoleoniche, riportando grossomodo l’Europa al pre 1789.

Come avvenne in Italia per i moti del 1820-1821 e 1830-1831 che cercavano di stravolgere lo status quo dei regni italiani dall’interno, anche l’Afghanistan nel 1996 dovette assistere ad un radicale cambio di regime interno, quando il governo dei Mujaheddin venne sostituito violentemente con il regime dei Talebani.

Ritornando in Italia nel 1815; ecco che dove aveva perso il predominio la Francia napoleonica si affrettava ad arrivare l’Austria o meglio l’Impero Asburgico; come nello scenario centrasiatico moderno arrivano gli Stati Uniti, storici avversari dell’URSS. Quest’ultima era infatti già stata piegata nel confronto della “guerra fredda” e poi era implosa politicamente e si era successivamente disgregata in 15 realtà nazionali, nel 1991; cosa che lasciava gli USA, nel 2001, anno dell’intervento in Afghanistan, incontrastata guida del mondo, così come l’Austria, piegato Napoleone, divenne egemone in Europa.

Gli americani, così come a suo tempo avevano fatto i sovietici, raccolgono subito un esercito di afgani filo-statunitensi e promettono rapide vittorie e un ancor più rapido sviluppo delle attività socio-economiche. La realtà sul terreno però è ben diversa; le forze della coalizione sono osannate da pochi, osteggiate da molti e in generale nessuno in Afghanistan vede di buon occhio gli stranieri; per questo perdura la guerriglia costante e implacabile dei Talebani.

Una vera e propria similitudine con la situazione italiana tra il 1820 e il 1848, dove gli austriaci costantemente piegano con la forza i moti insurrezionali, ma sempre di nuovi se ne generano per tutta la penisola, spesso avendo come protagonisti gli italiani all’interno delle forze armate, anche quelle asburgiche. Come gli Stati Uniti, anche l’Austria infine cede ma non solo per scontro diretto contro l’avversario insorgente o gli animosi patrioti; semplicemente lascia la presa a causa di una congiuntura internazionale che, nel caso appunto degli asburgici era rappresentato dai vari moti indipendentisti/nazionalisti in corso nell’Impero e dalla costante situazione di confronto con Prussia, Russia e Francia; mentre nel caso degli USA nel 2021 era rappresentato dallo scacchiere asiatico (crisi Taiwan-Cina), europeo (crisi Russo-Ucraina e Repubbliche baltiche), epidemia di COVID e connessa crisi economica. In entrambi i casi, la superpotenza di turno è stata presa per stanchezza, data l’ostinazione, degli abitanti dei rispettivi domini, a governarsi da soli.

 

ULTERIORI SIMILITUDINI

Leggendo le pagine del Pieri e della sua “Storia del Risorgimento italiano”, in più occasioni egli narra di come gli italiani in forza nell’Esercito asburgico, alla prima occasione passassero con gli insorti italiani, se non addirittura con l’Esercito piemontese. Una cosa ritenuta quasi normale, tant’è che in alcune occasioni gli imperiali svincolarono gli ufficiali italiani dal giuramento all’imperatore, lasciandoli liberi di agire secondo coscienza. Un simile comportamento letto con le “lenti” più recenti dovute alle esperienze della Seconda Guerra Mondiale ci appare quantomai singolare. Ritengo altamente improbabile che le forze occupanti del Terzo Reich in Italia nel 1943-1945 abbiano mai concesso a qualcuno di raggiungere la Resistenza o le Forze Armate Cobelligeranti.

Per contro, numerosi report delle truppe della coalizione riportano di “cambi di casacca” frequenti nelle file dell’ANA (Afghan Natianal Army), ovvero di famiglie sparse su entrambi gli schieramenti per motivi economici o infine, soldati che telefonavano a parenti dell’altra fazione per notificare un bombardamento e far sgomberare la popolazione a premessa di un attacco.

Sicuramente, anche a fine guerra in Afghanistan i “capi” avranno subito la rappresaglia dei vincitori, ma il grosso della popolazione si è riunificato dopo quasi 45 anni di guerra ininterrotta; o come l’Italia dopo la seconda guerra mondiale, dove con l’amnistia Togliatti si è cercato di pacificare e non di vendicare.

 

UN’OVVIA CONCLUSIONE

Ribadisco; vorrei mantenere la discussione su un piano storico-militare, lungi da me paragonare il regime dei Talebani ai valori dell’Italia risorgimentale, tuttavia una miglior analisi storica dell’Afghanistan avrebbe potuto portare a differenti valutazioni iniziali e a diverse conclusioni. Forse un consistente raid o azione rapida e decisiva, mordi e fuggi dell’Occidente avrebbe potuto poi mantenere una sorta di deterrenza, con spese enormemente minori e senza spargimento di sangue; ovvero, inserire una piccola, ma specializzata, componente straniera (statunitense o NATO) a guida di forze locali, come peraltro avvenuto positivamente nelle fasi iniziali dell’intervento statunitense; azione che sarebbe stata forse più costo efficace che mantenere migliaia di uomini sulle montagne afgane.

D’altra parte non era stato proprio Carlo Angelo Bianco, nei suoi trattati sulla guerra insurrezionale (asimmetrica) a indicare come fosse impossibile per una potenza, per quanto armata, equipaggiata e forte, vincere su una popolazione desiderosa di battersi per l’indipendenza? Nel lungo periodo l’occupante sarebbe stato destinato a soccombere.

Se l’Italia risorgimentale raccoglieva sempre più proseliti alla causa dell’Indipendenza, dapprima solo borghesi, ma poi anche fasce più basse di cittadini e infine la popolazione tutta, fino a mettere in crisi il confinante impero Asburgico, come potevano non farcela gli afgani, forti peraltro di aver sconfitto britannici e sovietici, a non battere gli Stati Uniti e l’Occidente? Questi per di più lontani mille miglia dalla Madrepatria con un grande sforzo logistico per mantenere un Esercito in armi in Asia centrale.

Il mio parallelo tra Francia napoleonica/Unione Sovietica e tra Impero Asburgico/Stati Uniti si esaurisce al periodo risorgimentale, pertanto non considero la prima guerra mondiale, glorioso periodo durante il quale il Regno d’Italia, in un confronto peer-to-peer, ha sconfitto definitivamente l’Impero Asburgico e suggellato, il 4 novembre 1918, l’Unità d’Italia. Un evento quindi non accostabile alla situazione centrasiatica, a meno che l’Afghanistan non decida di attaccare la Russia o gli Stati Uniti…e batterli!

Tuttavia, data la celerità e la confusione con cui le potenze occidentali hanno lasciato le guarnigioni dell’Afghanistan verrebbe proprio da dire: “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo, risalgono in disordine e senza speranza, le rampe degli aerei da trasporto che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”.

 

LA STORIA CI HA INGANNATI?

Tornando alla domanda del capitano francese, “Dobbiamo forse pensare che la storia ci abbia ingannati (in Afghanistan)?” o forse  non siamo stati in grado di capire quello che ci voleva dire e applicare le preziose lezioni del Risorgimento che, sebbene a livelli differenti, dovrebbero essere patrimonio comune di ogni italiano.

Ma in realtà cosa sappiamo esattamente del Risorgimento e ancora, cosa ne abbiamo capito? Se avessimo carpito i punti salienti, ossia che un popolo che si vuole affrancare dal giogo straniero ed è concorde, prima o poi ci riesce; peraltro come avvenuto nella totalità di casi simili perlomeno nel XIX secolo, forse non saremmo partiti così baldanzosi per l’Afghanistan. Perché non avrebbe dovuto infine trionfare la guerriglia afgana che aveva comunque già sconfitto Britannici e Sovietici? Vero è che noi avevamo nobilissimi propositi ma forse, se mai avessimo potuto fare due chiacchiere col Radetzky ci avrebbe chiaramente enunciato i suoi altrettanto nobili intenti nel pacificare il Regno Lombardo-Veneto.

Sicuramente non è quel glorioso periodo che è il Risorgimento ad averci ingannati, ma delle sue preziose lezioni su come abbiamo costruito la Patria poco ci resta come patrimonio culturale se non una serie di nomi come Mazzini, Cavour, Garibaldi, Pastrengo, Goito, Custoza e altri, forse oggi più noti come vie di centri storici italiani e che attirano il nostro interesse, non in base all’eroismo o all’epicità degli eventi occorsi, ma piuttosto in base al fatto che ci sia una telecamera che sorveglia la locale zona a traffico limitato.

 

Andrea LOPREIATO

 

 

 

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