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lunedì 20 giugno 2022

Alessia Biasiolo; 1942 L'Operazione CHariot

 


Marzo 1942: l’Operazione Chariot

 

La battaglia nell’Atlantico si era rivelata una necessità tedesca per contrastare la supremazia statunitense che avrebbe impedito la politica hitleriana. Allo stesso tempo, gli anglo americani dovevano impedire che la Kriegsmarine potesse beneficiare dei porti francesi sull’oceano e, se si fosse riusciti nell’intento di minare le navi prima che potessero navigare, si sarebbero evitate perdite umane, con il nemico che sarebbe stato ostacolato nella sua strategia bellica.

 

Pertanto le operazioni atlantiche fervevano, e il 1942 certamente è stato un anno centrale in questa lotta, una volta che gli Stati Uniti erano entrati in guerra con l’agguerrito intento di porre fine alla supremazia tedesca e nipponica che avevano messo in ginocchio l’una l’Europa, l’altra la base navale hawaiana.

Venne messa a punto una nuova Operazione, denominata Chariot, nel marzo del 1942, allo scopo di rendere inservibile un bacino di carenaggio francese in uso alla Marina tedesca, soprattutto evitando che potesse ospitare la corazzata della classe Bismarck Tirpitz, la nave che principalmente aveva lo scopo di tenere occupata la Marina britannica, oppure che servisse da riparo per altre unità navali tedesche che in quel porto avrebbero potuto essere riparate in caso di avarie.

La Tirpitz, dal nome dell’ammiraglio della Kriegsmarine, prodotta dai cantieri Marinewerft  di Wilhelmshaven e varata nel 1939, era estremamente temuta dai nemici, tanto che vennero organizzati numerosi attacchi per danneggiarla ancor prima che divenisse operativa: subì in sei mesi sedici attacchi aerei da parte della Royal Air Force tra il 1940 e il 1941, senza riportare grossi danni, ma venne continuamente ancora cacciata dagli Alleati per cercare di affondarla, costringendola spesso a rifugiarsi tra i fiordi norvegesi. Il tallone d’Achille della corazzata era l’eccessivo consumo di carburante, che la rendevano vulnerabile ancor prima degli attacchi aerei e sommergibilistici, anche da parte sovietica.

Pertanto nell’Operazione Chariot, venne deciso di riempire di esplosivo, programmato con timer posizionati in cassoni di cemento che avrebbero reso impossibile il disinnesco, il cacciatorpediniere britannico HMS Cambeltown, condotto da volontari nel porto francese di Saint-Nazaire dopo averlo camuffato da torpediniere tedesco della classe Möwe. L’equipaggio che si occupò dell’operazione doveva poi essere imbarcato sulle navi al seguito. In effetti questa fase operativa portò in salvo soltanto un terzo circa degli uomini impiegati. L’Operazione realizzata il 28 marzo riuscì, con l’esplosione del cacciatorpediniere che mise fuori uso il bacino di carenaggio, causando la morte di tedeschi e civili francesi per un totale di duecentocinquanta caduti, mentre morirono 169 uomini della forza d’assalto e duecento vennero presi prigionieri.

Era chiaro che soltanto la supremazia tecnologica avrebbe risolto la Battaglia dell’Atlantico, quindi la gara alla messa a punto di adeguati sistemi di difesa era quanto mai essenziale. Nel 1942 gli U-Boote tedeschi vennero equipaggiati con il nuovo radar Metox che riusciva a captare i radar sugli aerei; ben presto il numero di attacchi dal cielo, tuttavia, aumentò con grande precisione, facendo sospettare che il radar stesso fosse facilmente rilevabile. In effetti ciò era vero, tanto quanto il nuovo radar inglese H2S a banda centimetrica e non rilevabile dal radar tedesco Metox.

Il numero di apparati continuò a moltiplicarsi su ambo i fronti, con efficacia nell’uso variabile, tuttavia l’allarme radar serviva soltanto in condizioni di buona visibilità e, pertanto, di giorno, dal momento che altrimenti non era possibile organizzare attacchi aerei contro i sommergibili che, di rimando, restavano al sicuro.

Un nuovo input nella strategia bellica navale venne dato dal proiettore Leigh che veniva installato sui bombardieri per poter illuminare il mare e avvistare gli U-Boote, soprattutto in fase di attacco finale: illuminando il sommergibile in emersione, era possibile puntare con precisione e affondarlo. Il proiettore Leigh sostitutiva così il razzo illuminante che doveva essere sparato per avere idea di dove fosse il bersaglio, ma dando al nemico un importante preavviso. Il proiettore Leigh poteva, invece, essere acceso all’ultimo minuto, impedendo l’organizzazione della difesa avversaria. L’utilizzo del proiettore ridusse di molto le perdite causate dai sommergibili tedeschi.

Nello stesso 1942, venne messo a punto anche il porcospino, un mortaio antisommergibile che poteva lanciare dalla prua della nave ventiquattro bombe in grado di colpire il sommergibile nemico e di esplodere all’impatto, a differenza delle cariche di profondità che esplodevano ad una profondità prestabilita, dovevano essere lanciate dalla poppa e smuovevano molto l’acqua, rendendo difficile poter avvistare il bersaglio. Con il porcospino il sommergibile poteva essere continuamente monitorato e attaccato fino all’avvenuto affondamento, tanto che si arrivò ad un buon 25 per cento di affondamenti riusciti, quasi quattro volte più rispetto ai successi ottenuti con le bombe di profondità.

 

Alessia Biasiolo

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